Un week end a Genova. Non per turismo macabro sul ponte Morandi. Neanche per rivedere il sole sul maestoso golfo della città della Lanterna. Per verificare e sentire, invece, quale possa essere “una strategia per l’Italia”.

Nel Palazzo Ducale genovese si è svolta, infatti, la 6° edizione del Festival di Limes, il magazine diretto da Lucio Caracciolo, dedicato quest’anno al Se e Come il nostro paese possa invertire la rotta, ridarsi un piano strategico pluriennale, uscire da vent’anni di immobilismo che ne hanno minato risorse economiche e psicologiche dei suoi abitanti: noi stessi.

Prima di naufragare definitivamente (i miracoli “italiani” non si ripetono sempre… per definizione!) proviamo almeno a ragionarci sopra e il Festival di Limes ha avuto proprio lo scopo di produrre idee senza preconcetti, senza pregiudizi ideologici sul come sia ancora possibile salvare il futuro dell’Italia e riportarlo all’altezza della sua storia e del suo passato.

Continuiamo, infatti, a vivere un curioso e paradossale equivoco. Proprio in questi giorni è uscita la classifica pubblicata ogni anno dalla rivista americana US News and World Report su quelli che vengono considerati i “migliori paesi” sulla base di una indagine di mercato formulata su 20.000 interviste a vip imprenditoriali economici e politici di 80 diversi paesi: udite… udite, l’Italia è al numero 1 nella classifica in quanto a influenza culturale e a patrimonio storico-artistico.

Siamo la prima destinazione turistica nei sogni dei cittadini di 79 paesi del mondo!  Nonostante il nostro declino siamo ancora considerati una “dream destination” e comunque il paese che è stato la culla della civiltà. Nonostante ciò viviamo con molti aspetti di autolesionismo, questa difficile, deludente, zoppicante quotidianità in fase di declino.

Pickett, a Genova, ha ascoltato molte voci, autorevoli e no. Ha recepito questa fotografia del nostro paese attualizzata al marzo 2019.

Quattro sono gli elementi principali da cui partire per una prima fotografia delle nostre criticità.

La demografia. Facciamo sempre meno bambini e stiamo diventando un paese sempre più abitato da vecchi. Nel 2018 la popolazione è diminuita per il quarto anno consecutivo, un record che non ha precedenti nella nostra storia nazionale. “La popolazione italiana è sdraiata sul fondo- ha detto il prof.  Massimo Livi Bacci, demografo – come un sottomarino che, persa la spinta propulsiva, resta adagiato in avaria sul fondale”. Un’indagine di mercato del 1960 fotografava una situazione in cui i tre più grandi paesi dell’Unione Europea l’Italia, la Francia e la Germania avevano sostanzialmente la stessa popolazione in termini quantitativi. Sessant’anni dopo, nel 2019, la Francia ha ridotto in termini assoluti il numero delle nascite, ma oggi ha una popolazione molto più numerosa rispetto a quella italiana in quanto grazie ad una efficiente ed attenta politica di incentivi alle famiglie e alle donne è riuscita a ridurre il fenomeno della scarsa natalità. La Germania ha ottenuto risultati meno brillanti ma comunque migliori del nostro paese che in materia vanta il triste primato europeo di minor natalità.

Economia. Il nostro paese è fermo da vent’anni e si avvia alla terza recessione dell’ultimo decennio. E’ difficile immaginare la crescita di un paese in cui la popolazione attiva diminuisce di anno in anno. In più, la produttività rimane piatta, i vincoli di una politica fiscale dissennata frenano strutturalmente lo sviluppo del paese. Insomma ci siamo incartati e necessitiamo di una nuova lettura dell’esistente ma soprattutto di una nuova visione del nostro futuro tenendo conto del chi siamo e del che cosa siamo capaci di fare.

Il controllo mafioso nel territorio. Lo Stato ha letteralmente abbandonato la gestione di certi territori dello stivale. Ha ceduto alla criminalità organizzata intere regioni e molti quartieri di città italiane non solo nel meridione ma anche nel nord Italia. La regione più povera d’Italia, la Calabria, è in mano alla ‘ndrangheta, ormai considerata una delle più ricche, potenti ed efficienti mafie del mondo, con ramificazioni consolidate in Europa, nelle Americhe e in Africa. Insomma, si discuteva in uno dei dibattiti del Festival di Limes l’’ndrangheta è diventata una multinazionale in mano a poche famiglie locali molto più potenti delle istituzioni pubbliche ed esercita sul territorio un potere molto superiore a quello del governo centrale. Il grido d’allarme emerso dalle discussioni sulle organizzazioni criminali, deriva proprio dal fatto che l’Italia è l’unico paese al mondo (siamo ormai considerati peggio della Colombia) che abbia abbandonato il presidio di interi territori dalla Calabria alla Campania, dalla Sicilia a dei pezzi della Puglia.

L’unità nazionale. “L’Italia è nata economicamente duale e resta tale – ha detto nel suo intervento Lucio Caracciolo – la forbice nord-sud si sta allargando minacciosamente sino ad alimentare strategie autonomistiche che rischiano di trasformarsi in separatismo. Ad un Lombardo-Veneto che ritiene di potersi meglio amministrare senza Roma, corrispondono le nostalgie neo-borboniche del sud, dal quale i giovani sono in fuga e nei prossimi trent’anni si stima perderà 5 milioni di abitanti. Desertificazione umana e geopolitica che erode la radice della nazione… Si può anche invocare il federalismo – ha sostenuto Caracciolo – ma nel mondo reale le federazioni che funzionano sono imperniate su un forte potere centrale. Noi invece ci siamo dilettati a smantellare quel poco che avevamo”. Il direttore di Limes ha sottolineato più volte, come anche altri autorevoli conferenzieri, quanto l’unità del paese sia fondamentale per mantenere una speranza di futuro: “Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini – ha sostenuto Caracciolo – ci rendiamo conto di quanto necessaria sia l’unità d’Italia e di quanto velleitari siano i micronazionalismi che la percorrono” Se passasse il motto “ognuno per sé, nessuno per tutti” andremo incontro ad una disgregazione europea che avrebbe effetti devastanti sul nostro sistema istituzionale ed economico.

Contro la retorica del Bel Paese, delle piccole patrie “all’Italia unita serve uno stato compiuto e ricentrato – ha auspicato sempre Caracciolo – dove poteri e responsabilità siano immediatamente visibili e imputabili. Obiettivo questo impossibile senza una pedagogia nazionale che rinnovi il senso di orgogliosa appartenenza ad una nazione che nella percezione altrui vale più di quanto molti italiani siano disposti ad ammettere”.

Forse è davvero arrivato il tempo di non farci più abbindolare dalla facile propaganda dei problem solving da campagna elettorale.

Il lavoro che ci aspetta è complesso. La sfida tutta in salita.

Abbiamo però tutti gli ingredienti per farcela e gli esempi delle piazze italiane che invocano un cambiamento razionale e non velleitario, ne testimoniano la voglia di partecipazione.

Dobbiamo evitare di chiuderci in paure emotive o miopi egoismi: dobbiamo tirarci su le maniche, come abbiamo già fatto altre volte nella storia del nostro paese e cercare, soprattutto psicologicamente, di uscire da questo tunnel di rabbia, di rancore, di delusione che ci sta uccidendo.

Il tempo a disposizione non è tanto. Proviamoci!

 

Comments (1)
  1. Maurizio Baiotti (reply)

    15 Marzo 2019 at 13:58

    Triste realtà triste per le prossime generazioni.
    Ancora più triste in quanto le diverse forze politiche succedutesi in questi ultimi anni non hanno avuto visione ampie, di lungo periodo, interessate solo al loro particulare.

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