Si possono predisporre dei criteri di valutazione riguardo l’aspettativa economica di una Nazione senza tener conto, oggi, del grado di benessere e felicità della collettività?
A quanto pare sì, ed è uno dei guru del terzo millennio, Ruchir Sharma ad evidenziarli nel suo ultimo celebre best-seller The rise and fall of Nations: ten rules of change in the post-crisis world. Un testo sicuramente per lettori non soltanto attenti alle problematiche inerenti l’economia nell’era della crisi della globalizzazione ma anche alle modalità con cui il mondo prosegue il suo cammino in questo nebuloso presente.
Attualmente Sharma è reduce di continui viaggi tra i vari continenti ed è proprio grazie a tale attività che è riuscito ad osservare e cercare di comprendere lo scenario magmatico in cui viviamo.
Il suo libro, di conseguenza, si distoglie da qualsiasi teoria scientifica conosciuta. Lui non pensa e non vuole estrapolare una regola matematicamente perfetta, capace di perdurare nei prossimi cento anni (anche perché non vuole correre il rischio di ritrovarsi sul carro di coloro che non predissero l’attuale crisi economica) bensì vuole “raccontare”. Ed è proprio sulla base di questo racconto che l’autore evidenzia nuovi parametri per giudicare la perfomance di una Nazione; anche se, come dichiara lui stesso, essi non presentano un carattere di novità assoluta.
Infatti, il merito di Ruchir Sharma è stato quello di aver posto congiuntamente diversi fattori e sulla base di questi aver fatto emergere che il potere economico e con esso la ricchezza globale, siano in continua emigrazione. Egli ricorda, che tale meccanismo altro non è che il «cerchio della vita» e cioè l’iter naturale di una prosperità che circola tra le Nazioni: gli Stati Uniti, ad esempio, negli ultimi cento anni hanno dovuto affrontare grandi periodi di recessione ma ciclicamente si sono ritrovati, poi, ad essere un’imponente forza mondiale.
Scendendo, dunque, nel dettaglio, i criteri riguardano variegate voci; essi sono: la demografia di uno Stato; la sua reattività e quindi celerità nell’emanare le riforme di cui necessità nel breve e lungo periodo; il suo ruolo all’interno del mercato economico interno ed esterno; la sua capacità di attrarre capitali; l’inuguaglianza nella distribuzione della ricchezza; gli investimenti nel settore dell’industria; il livello dell’inflazione; l’ammontare del debito pubblico; e l’opinione che riesce a trasmettere di sé al di fuori dei propri confini.
Tutte nomenclature con cui si è ormai abituati ad avere un confronto quotidiano; nondimeno colpisce che tra di essi, non si evidenzi il fattore della felicità o quanto meno la condizione di soddisfazione che un cittadino ha della propria esistenza all’interno di un determinato Paese. Lo si deve pertanto escludere? È un elemento oramai da bypassare?
La risposta non può che essere negativa; esso rimane essenziale per comprendere valori diversi che corrispondono a tematiche di cui il nostro presente nonché futuro non può non considerare; tra di loro, ad esempio la salute, l’ambiente e la cultura.
Ruchir Sharma, senza ombra di dubbio non lo menziona perché il suo punto di vista è del tutto differente e il libro che scrive, risulta essere comunque uno strumento economico e asettico, frutto di uno studio di osservazione di un «tecnico» di una società di investimento statunitense.
Andando oltre, è interessante la riflessione in merito ai billionaires, cioè tutte quelle persone che vivono un tenore di vita ben al di sopra di un livello medio-alto; essi, è noto, sono i detentori della maggior parte della ricchezza non solo di alcuni Paesi (si pensi all’Italia o alla Cina) ma anche dell’intera economia mondiale.
L’autore, a tal proposito, ne offre una doppia classificazione: i bad billionaires e i good billionaires. I primi, rilevabili soprattutto in Russia e Turchia, sono tutti coloro che con la loro attività corruttiva, speculativa e molte volte illecita, attraverso un’ intromissione nel potere politico, riescono ad ottenere le maggiori licenze nonché risorse naturali di una Nazione, apportando un beneficio soltanto a loro stessi.
Tra i good billionaires, invece, vi sono tutti quei soggetti che reinvestono la loro ricchezza a servizio di una Nazione, creando spesso nuovi posti di lavoro, benessere generale e opportunità non solo di carattere economico per un’intera comunità di riferimento.
In tal senso, Ruchir Sharma cita due esempi, riposti nelle due economie maggiormente influenti nel panorama attuale: la Silicon Valley negli Usa il colosso di Alibaba per quanto riguarda la Cina.
Ed è proprio riguardo la potenza asiatica che egli focalizza buona parte del suo discorso, sottolineando il fatto che in poco meno di trenta anni si è conquistata la totalità dell’industria manifatturiera globale nonché la qualifica di solido investitore. Pertanto, nonostante la sua moneta risulti, oggi, alquanto sottovalutata dai più e il suo debito pubblico sia in forte crescita, la perfomance cinese, in base agli indici suddetti, sembra godere di buona salute.
Eppure è certo che in base alla ciclicità sopra evidenziata, l’economia di Pechino, prima o poi, è destinata ad un arresto incontrovertibile. Insomma, esattamente come gli indici di Ruchir Sharma misurano una condizione attuale, così la supremazia economica non è destinata ad essere mai nelle stesse mani.