Pickett ha lasciato passare qualche giorno. Il tema è sempre troppo spinoso per essere sviscerato a caldo. È una questione, da sempre, urticante, controversa, combattuta. Il DNA di ciascuno di noi prevale spesso sul raziocinio. Su una visione lucida, corretta, non di parte. O, peggio, di genere.

Già, perché parliamo dell’8 marzo, della Festa delle Donne.

La Iena-Barenghi nella sua rubrica su La Stampa ha lanciato la sua solita provocazione intrigante: “Dopo un giorno di riposo, noi uomini possiamo ricominciare a picchiare le donne!”. Un pugno in faccia alla cultura di molti, ancora troppi, rappresentanti del nostro genere.

Potremmo archiviare l’argomento, come ogni anno dal 1922 puntualmente accade l’8 di marzo, regalando una mimosa o facendo gli auguri alle donne della nostra comunità di riferimento, limitandoci alla solita, stantia battuta sul perché non esista una giornata dedicata all’Uomo.

Non sarebbe strano, è sempre accaduto. Un giorno di memoria e 364 giorni di distrazione o peggio, di ritorno alle barbarie educazionali o comportamentali.

Il contesto è inquietante: la tragedia del femminicidio dilaga. Nei 2 mesi 2019 ci sono stati 13 femminicidi, numero in calo rispetto al 2018 ma sempre impressionante. L’effetto domino è raccapricciante. L’emulazione sembra quasi aver sdoganato il diritto dell’Uomo, la parte più forte fisicamente cioè, a infierire, fino ad uccidere, sulla Donna, la parte più debole.

La contabilità delle violenze, degli omicidi di donne ha assunto livelli assolutamente inaccettabili per una vera comunità civile. Soprattutto, a nostro avviso, salvo l’impegno e il coraggio di qualche singolo funzionario delle forze dell’ordine, non si fa nulla per prevenire, arginare e combattere questo fenomeno che ha assunto contorni da far west.

Ogni giorno si contano episodi di violenze, fisiche e psicologiche. Di scontri che portano ad omicidi atroci, tra l’altro, commessi praticamente sotto gli occhi di tutti. Da parte di maschi, spesso, già condannati, già monitorati dalla polizia (sic!). Individui già oggetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria. I famigliari, i vicini di casa, i passanti, tutti testimoni di queste tragedie che non alzano un dito. Tutti consolidano un omertoso comportamento basato su vigliaccherie varie o, peggio, sostenendo che se i due hanno litigato “qualcosa sarà successo!”. Se volano degli schiaffoni del più forte sulla vittima più debole “ci saranno delle ragioni: se li sarà meritati!”.

Un’autoassoluzione, ad avviso di Pickett, criminosa, che apre le porte all’impunità del violento. Che non fa scattare lo sdegno, la gogna, i freni inibitori che dovrebbero aiutarci ad arginare e gestire le pulsioni, la rabbia, i litigi con il nostro compagno di progetto, sia maschile (sì, anche maschile, perché iniziano anche i casi inversi), sia femminile.

Siamo stati tutti bombardati in questi giorni da dati, statistiche raccolte su quello che è ancora, non dobbiamo vergognarci a scriverlo a chiare lettere, una forma di razzismo di genere esistente e consolidato culturalmente nella nostra società.

Alcuni esempi di discriminazione sostanziale delle Donne?

Tra i rettori delle università italiane 76 sono uomini e 6 sono donne; tra i sindaci su 7000 maschi ci sono solo 1000 donne; tra i top manager 17000 sono maschi e 5000 sono le donne. Ai livelli aziendali o professionali più alti è difficile trovarci una donna. La percentuale, infatti, di coloro che escono dal mercato del lavoro alla nascita di un figlio rimane stabile intono al 20% mostrando quanto continui ad essere difficile nel nostro paese per una donna conciliare maternità e lavoro, soprattutto se non si guadagna abbastanza per potersi permettere di acquistare sul mercato i servizi di cura basilari – asilo nido privato, babysitter – che un welfare state miope non sempre è in grado di fornire, ha scritto recentemente Chiara Saraceno.

Questa è una situazione che colpisce soprattutto le donne a bassa istruzione e che vivono nel sud d’Italia. Ma il fenomeno riguarda anche le donne ad alta istruzione stante che sono esposte al rischio di rimanere in contratti di lavoro precari e in part-time involontario più frequentemente e  più a lungo dei loro coetanei maschi con analoghe qualifiche, così come di essere più spesso sovra-qualificate rispetto alle mansioni a cui sono adibite.

Una persistente divisione asimmetrica del lavoro famigliare tra uomini e donne – ha sottolineato sempre Chiara Saraceno in un suo commento alla Festa della Donna – culture aziendali, ma anche politiche, che continuano a sottovalutare e sotto-investire nelle donne, un modello di welfare che dà ancora largamente per scontato che le famiglie possono contare su una ampia disponibilità di lavoro domestica e di cura gratuito da parte delle donne, si combinano a creare un ambiente sfavorevole per le donne”.

Tutto ciò spiega il basso tasso di occupazione femminile e il forte svantaggio sperimentato da chi vive nel mezzogiorno e ha un basso tasso di istruzione.

In definitiva, non ci si può stupire che le donne nel loro complesso fatichino anche ad avere quel figlio in più che molte di loro pure vorrebbero.

Concita De Gregorio, una delle penne più prestigiose di Repubblica, stufa, quale unica donna nel comitato di redazione del quotidiano romano, di essere chiamata a fare il pezzo sull’evento dell’8 marzo, ha scritto alcune riflessioni che meritano di essere riprese, meditate e commentate.

Anzi, Pickett, per trasparenza e responsabilità verso il lettore, riporterà il pensiero di Concita in corsivo e ci aggancerà il proprio commento subito dopo con una grafica diversa, facilmente individuabile.

Abbiamo estrapolato dall’articolo apparso su Repubblica l’8 marzo 2019, quattro temi ragionati dall’editorialista romana. Li scorriamo dunque insieme chiosandoli con il nostro pensiero.

1. Bisogna di nuovo descrivere lo squilibrio tra compiti di responsabilità affidati alle donne, che sono la maggioranza nel paese, e ovviamente l’estrema minoranza alla guida delle imprese, delle università e dei teatri, dei ministeri, dei giornali. Sono inoltre pagate molto meno, da generali come da soldati semplici, ragione per cui è evidente che se bisogna scegliere – in una famiglia – a chi convenga lavorare, la scelta cada sempre su chi guadagna di più: l’uomo. Propongo allora di scrivere di quello che so per esperienza diretta a condizione che l’anno prossimo sia un uomo a svolgere il tema”.

Nulla da eccepire: la denuncia di Concita De Gregorio riprende i concetti già espressi sopra sia da Chiara Saraceno sia da Pickett. Ci vuole una nuova politica che garantisca un welfare a favore delle donne e che le aiuti a svolgere il loro compito di “amministratore delegato” dell’impresa famiglia in modo sereno, dignitoso e non residuale o subordinato. Stesso discorso vale per la carriera manageriale o professionale: ovviamente sempre su un criterio di meritocrazia che dovrebbe essere applicato al di là del genere dei candidati.

2. Le donne in quanto esseri umani rispondono alle categorie di ogni essere umano. Ce ne sono di bravissime e di scarse, di corrotte e d’incorruttibili. Di servili e d’indomite. Ed è questa la ragione, credo, per cui in quanto esseri umani dovrebbero essere valutate per quello che riescono a fare, per come lo fanno, ed essere retribuite al pari di chi – di opposto o fluido sesso, etnia, religione, altezza, colore dei capelli o peso – svolge quel compito. Naturalmente, dovrebbero essere messe in condizione di dimostrare le loro capacità (o incapacità) ed essere valutate, promosse e selezionate per quelle. Non per il fatto di essere donne ma per quello che sanno fare. La vera parità è quella che valuta le competenze indipendentemente dal sesso. Succede in Italia? Non succede”.

Non si può che condividere questo ragionamento di Concita: bisogna partire di qui per sviluppare qualsiasi tipo di ragionamento sul come uscire da questa vergognosa situazione culturale ed educativa.

3. La categoria “donne” – come ogni altra: medici, insegnanti, impiegati, idraulici, politici, uomini – contiene tutta la gamma di talenti che va dal potenziale Premio Nobel al nulla ….In RAI quando ho preso il posto e poi l’ho di nuovo ceduto a chi  mi ha preceduta e seguita nel medesimo orario, sulla medesima Rete, nel medesimo compito, ho avuto un ingaggio inferiore della quarta parte di quello del mio omologo. La metà della metà! Avrei potuto rifiutare, certo. Rinunciare. Stare fuori, si può sempre dire no e stare fuori. Ma fuori spesso piove, fa freddo e ad un certo punto  bisogna rientrare. Se ci fosse un sindacato attivo sarebbe questo un bel compito. Invece c’è sempre qualcuno che farà lo stesso lavoro al posto tuo, se rinunci. A condizioni anche peggiori, e ringrazia per quello che ti offrono”

Anche questo punto trova il pieno consenso di Pickett.

4. Poi c’è il capitolo Me-Too, immensa questione. S’impara da bambine a tergiversare, a fare la danza dei veli, a prendere tempo. Come se fosse inevitabile che l’essere umano di sesso maschile che comanda pretenda favori. Molte donne lo pensano: è naturale e si acconciano. C’è differenza in questo tra uomini e donne? Non saprei. Non posso dire di categorie ma di persone. Negli anni in cui ho avuto una responsabilità di controllo, non ho preteso dai colleghi uomini favori sessuali, per cui sono certa – come essere umano – che sia possibile farlo. Non è una condizione ineludibile del potere, voglio dire. Ci si può controllare, a dispetto dell’istinto che, vi assicuro, è identico. Non è una questione di genere. Dipende dalle persone, le donne sono persone. Ce ne sono di passive-aggressive, vittime manipolatrici. Ci sono quelle che “se così stanno le cose allora vediamo di sfruttare il sistema”, troppa fatica cambiarlo. E poi ce ne sono di eroiche, oneste, preparatissime sullo spread e sulle proprietà del plutonio, capaci di armare bombe atomiche e ci sono le pacifiste”.

È la prima volta che Pickett legge una fotografia del delicatissimo e spinoso tema degli “abusi di potere” dei maschi potenti nei confronti dei propri dipendenti. Concita fa un’analisi che a Pickett sembra corretta e stimolante. Se anche antropologicamente l’essere umano dovesse subire-non gestire tali impulsi, si tratterebbe sempre di un comportamento sbagliato di un essere umano nel suo complesso non di un problema di un uomo potente contro una donna più debole e soggiogabile.

La chiusura del pezzo di Concita De Gregorio, cronista-per l’ultima volta dell’8 marzo Festa della Donna, è molto coinvolgente. Merita che il nostro genere lo legga con attenzione e ci costruisca sopra una svolta educativa e comportamentale. Potrebbe rappresentare davvero uno stimolo per far cessare una discriminazione offensiva proprio per chi la mette in atto e cioè per noi uomini.

Ma leggiamo la chiusura della giornalista di Repubblica: “Pagateci per quello che sappiamo fare. Non abbiate paura del confronto, se è sul merito. Bisogna pretenderlo, non succederà da solo: bisogna incazzarsi, ora. Lo spirito del tempo non è un granché. Le destre avanzano ed è ora di alzare la voce. Presto sarà tardi. Quando sarà un uomo a scrivere questo pezzo, sarà un bel giorno. Un essere umano di sesso maschile. Ce ne sono di corrotti e di onesti, di belli e brutti, di capaci e incapaci. Come tutti, come tutte. È uguale, provate a pensarci tenendo a mente le vostre figlie. Come esercizio. Il prossimo 8 marzo, signori, a voi”.

Pickett con questo pezzo ha voluto anticipare appunto l’auspicio-minaccia di Concita.

Troppi sono ancora i segnali di quanto sia radicata nel nostro cervello maschile (siamo stati educati probabilmente così) questa becera concezione del ruolo e della figura della donna “tutta casa e famiglia”.

Ci piacciono, le amiamo, non potremmo fare a meno di loro ma … ma stiano al loro posto, svolgano il “grande compito” di fare i figli garantendo la sopravvivenza della stirpe e della “nazione”, come hanno scritto recentemente un consigliere comunale della Lega di Amelia e il gruppo di ragazzi, sempre della Lega, di Crotone.

C’è poco da festeggiare, quindi – ha scritto ancora Chiara Saraceno – .Per questo l’8 marzo 2019 è tornato alle origini. Le donne hanno scioperato e sono tornate in piazza per protestare, chiedere e pretendere un cambiamento delle regole del gioco”.

 

Comments (2)
  1. Maurizio Baiotti (reply)

    22 Marzo 2019 at 10:00

    Molto interessante e condivisibile, a parte il termine femminicidio che mi fa accapponare la pelle! Non è possibile trovare un altro termine? Allora dovremmo dire bambinicidio o bambinecidio se sotto i 14 anni?

  2. Emilio Bertolani (reply)

    26 Marzo 2019 at 17:45

    Sono completamente d’accordo. Ho una nipote di venti anni che studia al Politecnico di Torino e non intendo che debba fare la trafila sopra descritta per affermarsi nel mondo del lavoro, quando sarà giunto il momento. Diamoci da fare con la massima energia per capovolgere questa situazione vergognosa, peraltro molto italica !

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