Uscite dai vostri silenzi offesi. Trasformate il vostro comportamento omissivo ed egoistico in una protesta-proposta virtuosa che faccia sentire la vostra voce.

Basta critiche sommesse e private accompagnate da sorrisini pubblici di circostanza: è il momento di uscire dal riserbo, dalla preoccupazione, dal rancore.

Facciamo sentire la nostra voce.

Enzo Manes, sulle colonne del Corriere della Sera, ha messo la borghesia imprenditoriale, professionale e pubblica di fronte alle sue responsabilità civili e sociali.

L’élite, tanto contestata da populisti e sovranisti, si è chiusa in sé stessa, avviluppata e offesa nei suoi laghetti privati. “Di fronte all’ondata anti-elitaria solo in Italia una parte così ampia di chi detiene il potere ha perso la voce o addirittura l’ha prestata ai nuovi vincitori – ha scritto Manes – la borghesia italiana, come in altri tempi si sarebbe chiamata, è muta, indifferente come se il futuro del paese non la riguardasse”.

Secondo Manes il fenomeno non è nuovo: “Spesso nella storia del nostro paese le classi dirigenti hanno preferito nuotare in favore di corrente. Anzi a ben vedere la sorpresa è quando hanno saputo tenere il punto. La pratica di schivare i colpi trovando riparo nel campo avverso ha molti precedenti e nasce da debolezze congenite di governo e da una lunga storia di occupazioni straniere. Il nemico di oggi può diventare l’amico di domani”.

La gravità della situazione è costituita – secondo Manes – dall’aver lasciato la gestione della “Cosa Comune” alla passione degli stomaci piuttosto che ad un’analisi documentata e razionale dei problemi. Il venir meno di un sentire comune lascia rovine in termini di coesione sociale. Di solidarietà.

“L’unica regola che resta è pensare ciascuno per sé. Con le paure del futuro che si mescolano insieme: dal timore per la precarietà del lavoro e per l’impoverimento a quello per la perdita dell’identità minacciata dalla immigrazione”.

Le conseguenze per Manes sono devastanti: “Perché si ritorcono contro la parte più debole della società. Quella per cui dover fare affidamento solo su di sé significa partire con uno svantaggio incolmabile. Quella che ha più da perdere dal venir meno di un ethos di solidarietà diffusa”.

L’inasprimento del clima sociale non colpisce infatti in modo uniforme tutti i cittadini: “I più deboli, quelli con meno risorse e mezzi, lo sono molto di più rispetto ai cosiddetti “ceti riflessivi”. La ruling class anche se si sottrae ai propri doveri civici riesce sempre a cavarsela bene. Alla peggio manda i figli all’estero e si accomoda alla finestra”.

L’autodifesa, il chiudersi offesi o preoccupati nei propri egoismi privati costituisce un’illusione pericolosa e amara per la borghesia ma anche per i “Nuovi” populisti.

Il tema di ricostruire un senso civico comune è centrale: risolutivo! “La tenuta del tessuto sociale è necessaria per ogni progetto di governo – prosegue il ragionamento sviluppato da Manes – senza, c’è solo un paralizzante clima di rancore che finirà per ritorcersi contro chi lo alimenta”.

Bisogna allora tornare ad occuparci del Bene Comune, della Responsabilità Civica. Un impegno che richiede la partecipazione di tutti ma soprattutto di quelli di Noi che detengono posizioni di comando, di potere.

Qui si misura la qualità di una vera classe dirigente che non voglia galleggiare nell’indifferenza. Qui si vede la capacità di rispondere alla domanda di rassicurazione che viene dal profondo della società. Perché al centro della scena oggi sta proprio la richiesta di non affrontare da soli le difficoltà che ci rendono vulnerabili”.

Oggi – conclude Manes la sua riflessione preoccupata sul nostro momento di essere italiani – è più che mai necessario raffreddare gli istinti e ridare voce alla ragione. Evitando che il suo uso venga considerato elitario. In fondo si tratta di una forma di educazione civica, della quale sarebbe bene tornare ad occuparsi con urgenza”.

Come dargli torto? Come non accogliere e accettare il suo invito iniziando tutti, ciascuno di noi quindi, a progettare azioni, comportamenti, iniziative mirate a far prevalere di nuovo la ragione, la professionalità e la lungimiranza, certo, pensando anche a quelli che hanno pagato e stanno pagando un prezzo troppo alto a causa della globalizzazione e della conseguente e inaccettabile disuguaglianza tra ricchi e poveri. Disuguaglianza sempre maggiore e sempre più dagli effetti devastanti.

A Torino in questi giorni, a proposito del dibattito sulla decisione della Giunta grillina del Sindaco Appendino di votare contro la TAV, è iniziata una forma di protesta-proposta. Si sono trovati schierati dalla stessa parte della barricata antagonisti storici come gli imprenditori e i sindacati. Il Presidente dell’Ordine dei Commercialisti, Luca Asvisio, ha lanciato uno stimolo virtuoso a tutte le associazioni professionali, sottolineando l’apartiticità dell’iniziativa: “Dobbiamo scendere in piazza e gridare in maniera pacifica e civile la nostra opposizione a questo clima da “decrescita civile”, è stato il suo grido di dolore lucido e costruttivo.

Sabato prossimo ci sarà una grande marcia per evidenziare il malessere di tutti coloro che credono nella crescita del paese, da gestirsi con visione e senso sociale.

Insomma la provocazione di Manes incomincia a dare i suoi primi risultati.

Stiamo a vedere ma partecipiamo.

 

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