Subito ho provato un senso di stupore, poi di sorpresa. Poi, ancora, ragionandoci sopra, di sgomento.

L’inserimento della parola merito nella nuova denominazione del MIUR “Ministero dell’Istruzione  e del merito” ha riscatenato una polemica vecchia e stantia, figlia di una visione della società, e della scuola in particolare, che speravo fosse superata e obsoleta.

Il Merito, secondo i critici, sarebbe il nemico dell’uguaglianza, dell’inclusione.

Pur presente nella nostra Costituzione (l’articolo 34 prescrive che “i capaci e  meritevoli, pur se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”) il Merito sarebbe l’esempio di una concezione elitaria di una società che mira a privilegiare i più dotati, i più talentuosi, i più fortunati.

Mi sembra “ruggine” del 1968 quando si invocava l’uguaglianza, il voto politico, il diritto alla promozione collettiva.

I risultati si sono visti: negli ultimi cinquant’anni, ha scritto Luca Ricolfi, si è perpetuata una tipologia di formazione scolastica che, “in nome di una malintesa interpretazione del principio di eguaglianza, ha drammaticamente abbassato il livello degli studi, ha rinunciato a premiare i capaci e meritevoli e in questo modo ha finito per allargare il fossato fra chi ha una famiglia alle spalle e chi – per emergere – può contare solo sul proprio talento e il proprio impegno”.

Questa è la drammatica realtà della nostra scuola di oggi: eppure continua a vivere ed avere dei seguaci un indirizzo di pensiero contrario alla valorizzazione del Merito.

Il merito è una bufala – ha scritto Michela Marzano  – nessuno sa esattamente cosa sia”.

Chiarisco subito il mio pensiero su questa spinosa e divisiva tematica, recuperando la metafora della gara più importante dell’atletica, i 100 metri piani.

Gli atleti partecipanti alla gara hanno il diritto di partire tutti, ai blocchi di partenza, sulla stessa linea, nelle stesse condizioni per competere.

L’accesso deve essere uguale per tutti per non privilegiare nessuno nella gara.

Poi, al colpo di pistola dello starter, ciascun atleta, si gioca le sue chances, la sua capacità, il suo talento.

Intendiamoci, anche per evitare certi equivoci più o  meno strumentali e finalizzati a svuotare di contenuto il valore del Merito, il talento di ogni atleta non è figlio soltanto di fortuna o del Dna che gli hanno trasferito i genitori: si è costruito con il lavoro, la fatica, le rinunce, le sconfitte, la determinazione, la pazienza, la capacità di allenarsi di più e meglio degli altri.

Al traguardo possono verificarsi due scenari: arriva primo e vince il migliore, quello che è stato più veloce, quello che è stato più bravo, non quello che è stato più fortunato; oppure, seguendo provocatoriamente la teoria egualitaria, bisognerebbe che tutti gli atleti, al di là delle loro capacità di primeggiare sugli altri, “magicamente” si riallineassero al traguardo per arrivare tutti insieme, tutti uguali, tutti parificati al termine della competizione.

E’ ovvio, come ho detto, che questa è una metafora che vuole rappresentare, anche provocatoriamente, la fotografia di che cosa significhi il Merito e quindi la capacità di alcuni di arrivare a risultati migliori di altri, grazie ad una serie di elementi sostanzialmente sintetizzabili in impegno, volontà, capacità di allenamento.

Questo è il mio pensiero in … merito!

Su questi valori, a mio avviso, avrebbe dovuto essere impostata la nostra scuola (parità di accesso e poi premialità per i più bravi). E invece, a causa di un pregiudizio ideologico che evidentemente è ancora radicato in una parte del nostro Paese, le cose non sono andate in questa direzione.

Questo pregiudizio si fonda, come ha scritto Massimo Recalcati, sul considerare il merito come una concezione della vita basata “sulla propria affermazione individuale, sulla concorrenza spietata, sulla selezione, sull’antagonismo, sull’egoismo, in assenza di inclusione. Ma questa versione è solo una degenerazione del valore del merito che toglie davvero merito al merito”.

“Abbiamo cambiato nome al ministero perché la scuola oggi è una scuola classista – ha dichiarato il neo ministro Valditara – Non è la scuola dell’eguaglianza e non aiuta i ragazzi a realizzarsi costruendosi una soddisfacente vita adulta. La dispersione scolastica raggiunge ormai un dato preoccupante pari al 20%. Tutto questo dentro un divario di apprendimento tra i territori: non è una scuola dell’eguaglianza perché non è una scuola del merito, come ha sottolineato Ernesto Galli della Loggia. Parte da questa consapevolezza la sfida del merito, che dà sostanza alla parola istruzione”.

Interrogato su cosa farà per concretizzare questa promessa di rendere la nostra scuola più meritocratica, valorizzando i talenti di ciascun studente, Valditara ha risposto: “Occorre una più incisiva personalizzazione dei piani di studio anche con una articolazione della funzione docente che consenta di coltivare le potenzialità di tutti sostenendo chi è in difficoltà e alimentando le capacità dei più bravi”.

Giudicheremo nei prossimi mesi se le promesse del Ministro si concretizzeranno davvero in una inversione di rotta: al di là dei pregiudizi ideologici però, come non essere d’accordo sulle sue dichiarazioni?

Covo, però, personalmente, una speranza ulteriore: che tale innovazione lessicale e strategica riguardi anche il corpo insegnante: “Chi volesse davvero affrontare questo problema – ha scritto Angelo Panebianco –  dovrebbe occuparsi anche della qualità dell’insegnamento. Ossia, degli insegnanti. Per esempio, dovrebbe creare carriere su basi meritocratiche. Un tentativo in questa direzione lo fece tanti anni fa il Ministro Luigi Berlinguer. Venne subito fermato dalla dura reazione della CGIL-Scuola! Auguri, quindi, al Ministro competente se vorrà mettere le mani dentro quella tagliola”.

In conclusione, per completare le mie riflessioni, devo confessare tutto il mio disagio e disappunto nel constatare come la Sinistra, in queste prime settimane di opposizione, invece di occuparsi del proprio rilancio concentrandosi sui contenuti di una proposta politica alternativa per il futuro del Paese, si sia limitata a ritirare fuori dai cassetti “i ferri vecchi” della polemica su due questioni che costituiscono la vera sfida delle nostre comunità civiche e politiche: la Sicurezza e il Merito.

La prima, dimenticandosi l’importanza del rispetto della legalità; la seconda, scordandosi l’importanza di avere un corpo insegnanti e la maggioranza degli studenti, adeguati, come preparazione e competenza, alle sfide internazionali del III millennio.

Senza contare che le conseguenze di una diversa valorizzazione del merito si avrebbero anche nell’economia reale del nostro Paese.

Quando la formazione si livella verso il basso, gli esiti sono imbarazzanti. Segnano decrescita fino a giungere al vero e proprio blocco.

Con la scusa dell’egualitarismo – ha scritto Pompeo Locatelli – si è reso un cattivo servizio al mercato del lavoro. La qualità della performance sul posto di lavoro è fondamentale perché in sua assenza la macchina imprenditoriale si inceppa. I risultati sono fiacchi, cioè deficitari. La cultura del merito è un magnifico e redditizio acceleratore. Economico e sociale al tempo stesso. Se un certo progresso nel nostro Paese vi è stato, lo si deve, in modo particolare, al grande impegno meritocratico di artigiani e piccoli e medi imprenditori. Loro sì che hanno investito ovvero puntato sui propri talenti. Con merito indiscutibile. Un successo meritato”.

Salviamo dunque il soldato Merito e vigiliamo su come il Ministro Valditara manterrà le sue promesse.

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