Un pensiero agita i neuroni della mia mente. Più passa il tempo più cresce la voglia di vederci un po’ più chiaro. Una premessa è necessaria: sono un severo e convinto assertore della tutela dei principi e dei valori del diritto internazionale. Sono dunque, fin dal primo giorno dell’invasione russa, dalla parte della vittima aggredita, “senza Se e senza Ma”. E’ inammissibile, di per sé, giustificare la scelta di Putin, soprattutto per le strumentali e manipolate ragioni storiche e politiche addotte ma anche perché una mancata rigidità sulla pretesa di rispetto dei vincoli internazionali, scatenerebbe un effetto domino inarrestabile.

Quindi nessun dubbio in materia…

L’Ucraina va aiutata, supportata in tutti i modi, anche con la fornitura di armi per la difesa della sua e della nostra sovranità e indipendenza. Tutto ciò però non vuol dire che, soprattutto i Grandi della Terra, non debbano tentare in ogni modo di costringere i contendenti alla pace o, almeno, all’inizio di un cessate il fuoco prodromico ad una trattativa politica di pace. I tempi, invece, si stanno allungando. Gli alleati europei e anglo-americani hanno resistito finora compatti nonostante gli effetti di ritorno negativi delle sanzioni economiche decise nei confronti della Russia. Oggi si parla di una guerra che potrebbe durare ancora mesi con quindi ulteriori distruzioni, massacri, stermini di popolazioni civili.

Le conseguenze del conflitto in Ucraina

Qual è il pensiero che mi frulla nella testa in questo contesto complesso e per certi versi difficilmente comprensibile? Tenendo conto che, prima o poi questa guerra, per definizione, dovrà finire, il “quando” finirà avrà conseguenze rilevanti non solo sui contendenti diretti, ma anche e soprattutto sugli alleati. Due i punti cruciali sui quali mi piacerebbe avere le idee più chiare per poter fare delle valutazioni. A chi conviene di più (i) che la guerra continui ancora e (ii) che gli investimenti per la ricostruzione delle zone distrutte diventino ancora più rilevanti?

Guerra… affari per molti

Fino ad oggi abbiamo letto, sul tema armamenti, le cifre globali deliberate dai singoli Stati (decine di miliardi di euro!) senza sapere (ovviamente perché coperti dal segreto militare) i dettagli delle forniture eseguite. Ci sono Stati, tra i quali l’Italia, in cui le filiere produttive di armi e materiale militare hanno incrementato in modo rilevantissimo i loro affari e i loro conseguenti profitti. Nella tragedia di una guerra, come ci insegna la Storia, ci sono interi settori industriali che aumentano le loro produzioni arrivando a risultati economici mai ottenuti prima.

I magazzini delle armi si svuotano e vanno ricostituite le scorte

Ci piacerebbe sapere se questa nuova ricchezza, costruita su un evento bellico, crei almeno un valore generale e sociale nel Paese produttore. Durante le crisi economiche si licenzia: quando c’è il boom si dovrebbe assumere, ridando così fiato ad occupazione e ad un impatto sociale positivo. Non vogliamo invischiarci in un ragionamento scivoloso che potrebbe apparire collegato a quel pacifismo ipocrita che contesta la scelta di supportare l’Ucraina, vorremmo però sapere dove finisca questa nuova ricchezza industriale, come venga redistribuita ovviamente nel rispetto più assoluto dell’iniziativa privata e dei suoi giusti profitti. Si parla tanto di lobby più o meno trasparenti che contaminano le scelte della politica di molti Paesi: sicuramente, come ci insegnano gli americani, la lobby degli armamenti è, con quella dei petrolieri, la più forte, ricca e importante del mondo.

Quanto pesano le pressioni di questa lobby sulle decisioni dei parlamenti dei regimi democratici?

Quando questa lobby mira ad allungare i tempi della guerra con la conseguente escalation di bisogni di nuove armi da parte di tutti i contendenti? Analogo pensiero esiste sul fronte della futura ricostruzione dei territori devastati dall’attuale conflitto. Draghi aveva stimato circa 300 miliardi di euro, Zelensky sta parlando di 700 miliardi di euro: se la guerra continuerà ancora a lungo e le distruzioni aumenteranno, la ricostruzione sarà ancora più rilevante e costosa dal punto di vista economico. Tutto il mondo si candiderà a partecipare alla ricostruzione delle infrastrutture della nuova Ucraina. Un vero e proprio Eldorado per imprese di costruzioni, di logistica, di trasporti, di elettronica, ecc. ecc. Quando pesa questo elemento prospettico nelle decisioni politiche attuali degli alleati dell’Ucraina ma anche della stessa Cina o degli altri Paesi non proprio allineati sul fronte anti-russo?

Più tempo passa più affari si fanno

Quanto le lobby dei futuri “ricostruttori” stanno lavorando per avere “più lavori” da fare nel dopoguerra? Quanto puntano quindi ad un allungamento dei tempi? Sarebbe bello avere più informazioni a riguardo anche per poter sovrapporre le nuove geo-mappe della politica internazionale che emergono dal voto alle Nazioni Unite che ha caratterizzato le ultime decisioni sulla guerra ucraina: chi ha votato contro le risoluzioni dell’ONU mirate alla pace? Chi si è astenuto? Questo tipo di esercizio intellettuale potrebbe permetterci di fare delle valutazioni, magari molto diverse, sulle nuove alleanze che si stanno formando nel mondo, in un “Grande Gioco” in cui, al di là dei tradizionali Grandi Paesi, emergono nuovi protagonisti, dei Paesi emergenti che stanno silenziosamente aumentando il loro potere politico nel Villaggio Globale, tessendo nuove alleanze.

Insomma, questi sono i pensieri e i ragionamenti che mi turbano e che lo scandalo del Qatargate non aiuta certo ad ridurre.

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