Da Strasburgo a Bruxelles, lo scenario non cambia: “volano i piatti” e lo scontro aumenta di intensità.

La Presidente della Commissione europea Ursula van der Leyen e il Primo Ministro polacco Morawiecki non si sono risparmiati nulla: hanno ribadito duramente le reciproche posizioni, molto distanti. “La scelta di Varsavia non è accettabile – ha detto la van der Leyen – stiamo esaminando la situazione per adottare le giuste sanzioni”.

Non accettiamo ricatti”  ha replicato Morawiecki.

Insomma, tutti contro tutti in una surreale contrapposizione che potrebbe davvero minare le fondamenta del progetto europeo.

Ora lo scontro si sposta da Strasburgo a Bruxelles, dove la Commissione, in queste ore, sta discutendo al suo interno, con toni molto duri e non sempre allineati, quale tipo di sanzioni applicare al governo di Varsavia, dalla sospensione dell’erogazione dei fondi ad altre misure ancora più gravi.

Proprio la scorsa settimana, su queste colonne, abbiamo registrato l’inizio di un confronto duro e dai risvolti inimmaginabili tra la Commissione Europea e i due membri “ribelli” di Varsavia e Budapest.

La recentissima decisione della Corte Costituzionale polacca, la richiesta formulata da 12  membri dell’Unione Europea di finanziare la costruzione di un muro contro l’invasione dei migranti, la riapertura del tavolo per la riforma del trattato di Dublino, troppo penalizzante per paesi come l’Italia, l’ultimo miglio della trattativa tra Bruxelles e Varsavia per la quota di contributi spettante alla Polonia, evidenziano i quattro nodi della bufera costruita con un tempismo quasi professionale, da Morawiecki e da Orban.

A fronte di questo scenario, già di per sé delicatissimo, la situazione si è ulteriormente aggravata.

Il Parlamento di Strasburgo ha formalmente contestato alla van der Leyen di non aver ancora aperto una istruttoria per deliberare delle sanzioni contro Varsavia, congelando, con effetto immediato, l’erogazione dei contributi a questo paese.

La situazione appare quindi ancora più grave in quanto si sta verificando una spaccatura all’interno delle istituzioni europee con alcuni paesi, soprattutto l’Olanda, che non ammettono nessuna indulgenza verso le condotte antieuropeiste adottate da Polonia e Ungheria.

Il punto cruciale è costituito dalla “Rules of Law” e cioè il rispetto dello stato di diritto, punto fondamentale per poter essere e rimanere un membro dell’Unione Europea.

Morawiecki e Orban hanno confermato entrambi di non volere assolutamente abbandonare l’Europa (come d’altronde una gran parte dei loro cittadini ha dichiarato manifestando per le strade delle due capitali) ma nello stesso tempo hanno ribadito, a gran voce, il loro ruolo di difensori dell’autonomia giurisdizionale dei loro paesi rispetto ai trattati europei, proprio come sentenziato dalla Corte Costituzionale polacca.

Il braccio di ferro in atto costringe la van der Leyen ad assumere una posizione netta e precisa, senza tergiversare o  negoziare mediazioni al ribasso.

I tempi in cui Angela Merkel, nei momenti di emergenza politica, scendeva in campo e con pazienza, determinazione e  visione riusciva a riconciliare le varie posizioni, apparentemente non negoziabili, sono, purtroppo, lontani.

La Cancelliera, alla vigilia  del suo addio alla politica attiva, si è limitata a dire “Una negoziazione, anche lunga e faticosa, è sempre meglio di uno scontro e di una rottura”.

Proprio in queste ore la Commissione Europea è chiamata a pronunciarsi su questa questione complessa e a rischio di deflagrazione.

Sergio Romano ha suggerito, valorizzando la sua esperienza di storico e di autorevole diplomatico, di immaginare anche soluzioni mai adottate prima, riferendosi, ad esempio, all’istituto della “sospensione” dei diritti e dei doveri di uno stato membro.

Romano immagina una sospensione (auspicabilmente transitoria) della Polonia fintanto che non sia risolta la questione sollevata dalla Corte Costituzionale di Varsavia in merito alla prevalenza dei Trattati europei rispetto alle normative nazionali polacche.

Molti parlamentari europei, nelle ultime ore, hanno manifestato un aperto dissenso ad ogni soluzione “tampone”, sostenendo, ad alta voce, che è arrivato il momento di dire “Basta” alle condotte di Stati, come la Polonia e l’Ungheria che da un lato si appropriano di tutti i fondi possibili erogati dall’Unione Europea e dall’altro lato, nello stesso tempo, sollevano continue e reiterate denunce contro principi e valori fondamentali della Carta dell’Unione Europea come appunto la supremazia dei Trattati europei rispetto alle legislazioni interne.

Tutto ciò senza contare che esiste un altro tema delicatissimo, discusso proprio nell’ultimo vertice dei capi di governo UE tenutosi in Slovenia la scorsa settimana: ben 4 Paesi, tutti balcanici,  hanno richiesto l’ammissione all’Unione Europea, e sono in attesa di una risposta.

Stiamo parlando di Serbia, Kosovo, Bulgaria e Macedonia.

Per ora Bruxelles e i vari capi di governo tergiversano, rinviano ogni decisione.

In Slovenia, per non inimicarsi i 4 candidati, hanno deliberato uno stanziamento di 30 miliardi di euro da investire nella regione balcanica nei prossimi anni, proprio nell’ottica di mantenere un ascendente politico su quegli Stati.

Ma non si potrà andare avanti così per molto.

Russia e Cina “corteggiano” i paesi balcanici moltiplicando i loro sforzi per allargare la loro influenza sia economica sia politica ai confini dell’Europa.

Bruxelles si trova così in un’altra, difficilissima, situazione: da un lato il rispetto della “Rules of Law” lascia molto a desiderare all’interno dei quattro paesi che hanno richiesto l’ammissione all’Europa; dall’altro lato bisogna evitare, a tutti i costi, che i governi di questi quattro stati si lascino ammaliare da Pechino, Mosca e, perché no, anche da Istanbul.

Ma torniamo di nuovo al punto centrale di tutti questi numerosi e complessi dossier: la salvaguardia dei principi fondanti dell’Unione Europea.

Si può mediare sul rispetto dello stato di diritto, l’indipendenza della magistratura, l’autonomia dei media?

Per molti no, per alcuni … sì, pur di salvare l’Europa.

C’è una corrente di pensiero che sostiene che gli europei si sono già scottati con l’allargamento all’Est, che ha portato dentro paesi con una storia democratica quanto meno discutibile.

Chi sostiene questa tesi non è assolutamente disposto a ripetere l’esperienza con i Balcani proprio quando bisogna regolare i conti con Budapest e Varsavia.

Siamo probabilmente all’ultimo round di un puzzle che determinerà sicuramente il futuro dell’Europa.

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