Il grido di allarme sconfortato e pieno di rabbia di Ilvo Diamanti lascia sconcertati. “È forte la tentazione, da parte mia, di rivolgere loro un invito neppure troppo provocatorio. Ragazzi: non tornate!”
Sulle colonne del quotidiano La Repubblica del 7 settembre scorso, Diamanti, noto e acuto lettore dei costumi italiani, ha voluto sfogare tutta la sua delusione per un fenomeno dilagante e …  hainoi, in via di consolidamento, che riguarda proprio l’esodo forzato dei nostri giovani all’estero per poter coltivare ancora sogni, speranze ma anche concrete possibilità di carriera lavoro, stipendio, qualità di vita personale e familiare.
Diamanti a voluto essere spietato sia nell’analisi sia nelle conclusioni del suo ragionamento: “Restate altrove. Fuori dal nostro, vostro, Paese. Almeno fino a quando il nostro, vostro, Paese non si accorgerà di voi. E deciderà di investire sui giovani invece che sugli anziani. Sulla scuola. Sui nuovi lavori. Invece che sulle rendite, sulle pensioni, sui privilegi. Ma finché questo Paese che invecchia continuerà ad aggrapparsi al presente e al passato, incapace di guardare al futuro, al destino dei propri giovani, almeno fino ad allora, ragazzi, non tornate!”
Lo scenario e drammaticamente quello descritto da Diamanti.
Proprio in questi giorni è uscito uno rapporto realizzato dal Centro Studi della Confindustria (CSC) che fotografa la situazione e lancia un vero e proprio grido di allarme. I segnali di ripresa della nostra economia – si legge nel rapporto – sono reali ma contaminati da un dato statistico impressionante: dal 2008 al 2015, 160.000 giovani sotto i quarant’anni, soprattutto laureati e qualificati, hanno deciso di lasciare il nostro Paese per cercare fortuna all’estero. Il fenomeno è in crescita esponenziale: sempre nel 2008 i ragazzi “in fuga” erano 21.000 all’anno; sette anni dopo, nel 2015, sono più che raddoppiati a quota 51.000.
“Questo – scrive Luca Paolizzi, direttore del CSC – è il vero tallone d’Achille della nostra economia che tra l’altro comporta una enorme distruzione del capitale umano italiano.”
Nel rapporto si calcola che sono stati circa 70 i miliardi di euro delle spese sostenute per l’istruzione e la formazione dei giovani che successivamente hanno messo a frutto quello che hanno imparato in paesi stranieri. Lo Stato infatti ha speso circa 30 miliardi, mentre per le famiglie si calcola che la spesa per la crescita e l’educazione di un figlio fino a 25 anni possa arrivare a 165.000 euro, con un costo complessivo di circa 40 miliardi.
Nella storia del nostro Paese, ciclicamente, abbiamo assistito ad emigrazioni di forza lavoro alla ricerca di una speranza di impiego. Oggi, a differenza del passato, se ne vanno i giovani, soprattutto quelli più istruiti, più qualificati. Se ne vanno in Paesi, come la Germania, l’Inghilterra ma anche l’Austria e la Svizzera, gli Stati Uniti, la Francia, dove possono trovare occasioni di impiego migliori rispetto a qui.
Si tratta di un vero e proprio drenaggio di cervelli (brain drain) che sconta, ad avviso di Diamanti e non solo, un eccesso di educazione-formazione rispetto alle domande di impiego esistenti in Italia. In altri termini, stiamo pagando il prezzo di una situazione che vede il nostro sistema scolastico in grado di sfornare quantità di risorse istruite superiori ai bisogni manifestati dal nostro mercato interno. Ciò, a maggior ragione, ai livelli alti dei nostri diplomati/laureati.
A fronte di una spesa pubblica che ha continuato a crescere negli ultimi anni, gli investimenti in ricerca, università e scuole sono invece diminuiti. Questo fenomeno, secondo alcuni autorevoli osservatori, ha creato un altro problema: l’aumento delle diseguaglianze, negli ultimi vent’anni, non è tanto quello tra ricchi e poveri ma quello tra giovani e anziani.
Il paradosso di questa situazione è che perdendo i nostri migliori talenti che se ne vanno all’estero, come Paese, perdiamo in competitività. Non siamo capaci di attrarre, a nostra volta, talenti stranieri e così il saldo della nostra mobilità è di segno fortemente negativo. Non siamo, spesso, neanche in grado di far rientrare in Italia i nostri giovani emigrati: non siamo più un Paese sexy neanche per i nostri ragazzi. Il sogno di ogni emigrato è sempre stato quello di ritornare nel proprio Paese, presso la propria famiglia, dove si hanno le proprie radici e origini. Oggi ciò avviene sempre più di rado. I nostri ragazzi partono e non ritornano più. Dobbiamo guardarci allo specchio e chiederci quali siano i rimedi per arginare questa catastrofe, anche economica, che sta assumendo dimensioni colossali.
Dobbiamo anche chiederci, ad avviso di Pickett, perché dobbiamo costringere i nostri giovani, i nostri figli ad un “distacco” traumatico, che in ogni caso peserà sulla loro esistenza.
A questo proposito siamo stati autorizzati a pubblicare una lettera di una figlia che ha dovuto emigrare all’estero per avere una prospettiva di lavoro e di carriera. Una figlia che ha scritto ai propri genitori alcune riflessioni proprio sul tema del “distacco”. Lo ha fatto con tanto affetto, emozione; con la mano tremante di chi vive una situazione di solitudine dolorosa ma ineluttabile. Con un cinismo pragmatico di sopravvivenza che le fa onore. Ma, a noi, anche un po’ di tristezza.
Un cinismo pragmatico di chi ne avrebbe fatto “anche ” a meno, se noi, tutti noi, non l’avessimo costretta a dover prendere tale decisione.
Pickett ha deciso di trascrivere interamente, così come ricevuta, tale lettera-manifesto, paradigmatica del vissuto di una giovane italiana, con forti legami familiari, costretta a vivere lontano dalla sua famiglia, dai suoi affetti, dalle sue radici. Dimostrando, per carità, responsabilità , senso del dovere, ma anche un po’ di rimpianto malinconico.
Non crediamo ci sia bisogno di alcun commento. Di molte riflessioni però… Sì!

“Qualche mese fa ero in Inghilterra per un colloquio presso un’Università e mi è stato proposto un problema di fisica. Quando la medesima Università mi ha offerto la possibilità di iscrivermi, mi si è concretamente posto il problema del distacco: il distacco dalla mia famiglia, dai miei amici, dal mio Paese.

Il distacco è un’esperienza di crescita indispensabile nelle vite umana: quando si va avanti, necessariamente ci si distacca da quello che si lascia e l’esperienza può essere più o meno traumatica.

In questo lavoro ho voluto approfondire le chiavi di lettura che letterati, scrittori, pittori, filosofi, uomini del loro tempo hanno dato ai distacchi che si presentano nel corso della vita: il distacco dall’utero materno al momento della nascita, dall’ambiente familiare per frequentare la scuola, il distacco dell’adolescente dal mondo dell’infanzia, ma anche il distacco dalla propria famiglia o dalla propria patria per motivi politici o necessità economica, ed infine l’ultimo distacco, il più complesso, quello dalla vita.

Rileggere autori classici ed analizzare accadimenti storici “interpretandoli” secondo l’ottica del “distacco” ha avuto per me un duplice valore: li ho sentiti più vicini e universali e nello stesso tempo ho avuto la conferma che la sensazione di smarrimento misto a speranza che provo in questo momento della mia vita è del tutto naturale.

Crescere è sapersi distaccare. “

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