L’investimento cultural-mediatico inizia a dare i suoi frutti. La paura degli Immigrants cresce, nonostante i numeri del fenomeno siano, come sappiamo, ben ridotti rispetto agli ultimi anni.

Più del 30% degli italiani lo ritiene oggi il Tema da risolvere. A tutti i costi. Il problema prioritario della nostra quotidianità. Il 33% interviene direttamente nel delirante dibattito che sta avvenendo nella Rete con toni sempre più xenofobi mirati all’esclusione dei “diversi”.

L’ultimo rapporto dell’osservatorio sui diritti, Vox, fotografa una realtà preoccupante: sui social network i messaggi di intolleranza e razzismo vivono una stagione prospera, piena zeppa di xenofobia, islamofobia, anti semitismo: “E’ un trionfo di ostilità – ha scritto Mattia Feltri – cresciuto nel 2017 rispetto al 2016 e nel 2018 rispetto al 2017 e specialmente dopo le elezioni di marzo che devono essere state interpretate come un via libera. Con questo non si vuole accusare nessun leader politico di razzismo: sono imputazioni terribili e non vanno rivolte con leggerezza. Ma è senz’altro vero che un’ampia e sconsiderata libertà di linguaggio caratterizza il discorso pubblico e fornisce ai peggiori l’incoraggiamento e l’alibi”.

Il focus delle prime pagine dei giornali continua dunque ad essere concentrato su questo tema: il resto diventa marginale, risolvibile, secondario rispetto alla paura dilagante.

Proprio in questi giorni sui temi reali del nostro Paese, quelli legati all’economia, all’occupazione, al rischio di una nuova “decrescita” del Pil, al “cosa fare” per uscire da una situazione di stallo pericolosissima, sono intervenuti, quasi contemporaneamente, Carlo Cottarelli e il ministro Paolo Savona.

Pickett trova interessante e, nello stesso tempo, preoccupante, la doppia lettura, diametralmente opposta, della nostra realtà. Per dirla alla Boeri, sembra che qualcuno abbia “perso i contatti con la crosta terrestre!”.

Proviamo a sintetizzare l’analisi di Cottarelli e la proposta di intervento formulata da Savona.

L’analisi di Carlo Cottarelli

Sulle colonne de La Stampa, Cottarelli ci fornisce il quadro dell’economia italiana 2018-2019 come fotografata nel recente rapporto previsivo della Commissione Europea, appena pubblicato.

Lo riassumiamo con parole semplici limitandoci ai  4 punti principali con il focus sulla posizione dell’Italia nel ranking con gli altri paesi membri dell’Unione Europea.

  1. Lo spread Negli ultimi tempi è un po’ sceso ma siamo comunque ben al di sopra dei livelli di metà maggio quando cominciarono a concretizzarsi le prime notizie sul contratto di governo tra la Lega e il Movimento 5 Stelle. Quello che preoccupa però è il confronto con lo spread degli altri paesi del sud Europa. Con 800 punti di base, ad inizio del 2017, il primo posto nella “black list” era ad appannaggio esclusivo della Grecia, poi venivano il Portogallo con quasi 400 punti, poi noi con 170 e la Spagna con 120. Oggi, a luglio 2018, soltanto 18 mesi dopo, la classifica è completamente ribaltata. La Grecia è scesa a 150 punti. Il Portogallo sta al 3° posto, dietro di noi, più vicino alla Spagna che all’Italia. Insomma – scrive Cottarelli – non sottovalutiamo questo trend molto preoccupante per un paese che deve periodicamente rinegoziare il costo della magnitudo del proprio debito pubblico.
  2. Il contributo dei singoli partner alla crescita del Pil europeo La Germania fa la parte del leone. Al secondo posto c’è la Spagna, circa a pari merito con la Francia. L’Italia è al 4° posto, ma visto che cresciamo poco siamo solo poco più avanti dell’Olanda che rispetto ai nostri 60 milioni di abitanti, ne ha soltanto 17 milioni!
  3. Tasso di crescita dei salari Siamo – ci ricorda Cottarelli – al 4° anno di crescita consecutiva ma a tassi molto modesti. La bassa crescita è trainata dalla domanda interna, soprattutto dai consumi, mentre il contributo del commercio estero, negativo nel 2015 e nel 2016, è diventato di poco positivo nel 2017. Sono aumentate le esportazioni ma sono cresciute anche le importazioni. Abbiamo quindi un problema di competitività? Secondo uno studio pubblicato recentemente dal Financial Times il costo del lavoro per unità di prodotto nel settore manifatturiero dalla fine degli anni ’90 è aumentato del 35-40% più che in Germania. Il tema della differente produttività ci spiega la differenza di crescita dei due paesi
  4. La previsione dei tassi di crescita del Pil  Quest’anno siamo all’ultimo posto tra i partner europei con un misero 1,3% contro una media del 2.3%. A farci compagnia c’è il Regno Unito, che dopo la Brexit, attraversa una fase di pesante rallentamento. Dobbiamo dunque crescere più rapidamente per recuperare il terreno perso negli ultimi 20 anni

Se questa è la nostra situazione – conclude Cottarelli – quando l’economia europea che cresce ancora a tassi elevati dovesse rallentare, cosa succederà?

Crescendo poco più dell’1% si fa presto a cadere di nuovo in una disastrosa recessione. Siamo tutti convinti che dobbiamo crescere di più: il problema è come, attraverso quali interventi. Secondo Cottarelli non si può pensare ad una vera e rilevante crescita senza il ritorno degli investimenti privati e senza una riduzione del debito pubblico che zavorra il rilancio della domanda interna. Dobbiamo concentrarci su riforme che possano aumentare la nostra produttività e competitività. Dobbiamo ridurre il peso della tassazione, semplificare la burocrazia, velocizzare il funzionamento della nostra giustizia. Forse partendo da questi tre punti, si potrebbero, già nel breve termine, mettere le basi per un rilancio strutturale.

Al quesito … da dove verrà la domanda nazionale ed internazionale per farci finalmente crescere, Cottarelli formula un auspicio: “Abbiamo un mondo intero intorno a noi. Dobbiamo esportare di più, magari portando via quote di mercato alla Germania. Rimbocchiamoci le maniche e aiutiamoli a ridurre il loro orrendo surplus commerciale”.

Il progetto Savona

Il neo ministro dei rapporti con Bruxelles si è cimentato nell’impresa di cercare di rispondere alle preoccupazioni di Cottarelli. Ecco il suo pensiero apparso in una serie di interventi pubblici.

L’idea centrale, motore dell’ambizioso piano di intervento, è costituita da un investimento di circa 50 miliardi di euro l’anno, intorno al 3% del Pil nazionale.

Proviamo a ragionare sull’idea partorita da Savona, tenendo a mente che i 50 miliardi di euro ipotizzati corrispondono all’incirca all’avanzo dei conti con l’estero dell’Italia: Savona ritiene proprio che questa sia la prova che l’Italia vive al di sotto dei propri mezzi e, altresì, la prova della carenza della domanda interna rispetto alle potenzialità della nostra economia.

L’intervento immaginato da Savona metterebbe in moto il Pil in misura tale da incrementare il gettito fiscale e coprire le spese correnti nonché le proposte, oggetto del contratto sottoscritto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle, della flat tax, del salario di cittadinanza e della revisione della Legge Fornero, senza aumentare né il disavanzo pubblico né il rapporto debito/Pil.

Di fronte a questi intendimenti teniamo conto che autorevoli commentatori hanno calcolato che la copertura di questi titoli di spesa si aggira intorno ai 100 miliardi di euro.

La cifra di 50 miliardi di euro l’anno è una cifra colossale se si pensa che oggi gli investimenti pubblici sono circa 34 miliardi e che prima della crisi del 2007 il picco aveva toccato al massimo i 54 miliardi. Ammesso che la macchina pubblica sia in grado di generare tanti investimenti (negli ultimi anni tra gli interventi della giustizia amministrativa,  l’apertura di istruttorie penali riferite al reato di corruzione, l’incapacità e inefficienza della nostra pubblica amministrazione a redigere bandi legittimi ed efficienti, il quadro delle opere pubbliche “cantierizzate” si è ulteriormente ridotto!) il secondo numero, dopo i 50 miliardi di euro, da tenere a mente è quello di 360 miliardi. Di tanto infatti dovrebbe aumentare il Pil per generare un gettito fiscale aggiuntivo di 150 miliardi – finanziare i 50 miliardi immaginati da Savona più la copertura dei 100 miliardi di spesa corrente, posto che il gettito fiscale è di circa il 42% del Pil. Dunque stiamo parlando di una ipotesi che tenendo conto di quanto stiamo crescendo (1-1.5% all’anno) prevede un aumento di 21 punti percentuali! Anche immaginando una gradualità nell’arco dell’intera legislatura, si dovrebbe avere una crescita intorno al 5% l’anno già dal 2019. Poiché sarebbe assolutamente irrealistico immaginare la realizzazione di investimenti così massicci prima di un biennio, rimarrebbero concentrati gli effetti in soli 3 anni con quindi un ulteriore aumento dei tassi di crescita del Pil che dovrebbero raggiungere una quota del 7-8% all’anno … come la Cina nei tempi d’oro!

Proprio leggendo questi numeri, assolutamente irrealistici, la Commissione Europea vede con preoccupazione la situazione italiana. Bruxelles ritiene che il potenziale di crescita realistico dell’economia italiana nei prossimi anni sarà inferiore all’1%. Tutto il resto sono sogni utopici.

Se Savona avesse ragione (cosa, ahinoi, da escludersi!) tutti gli analisti finanziari dei mercati internazionali, le agenzie di rating accoglierebbero con entusiasmo questo piano di sviluppo. Anche richiamando Keynes purtroppo pero ‘non si trova alcun riferimento che possa permetterci di dichiarare ragionevole e sostenibile l’idea del neo ministro dei rapporti con l’Unione Europea. L’economista inglese ha infatti detto e scritto che in certi momenti di grave crisi occorre avere il coraggio di fare investimenti, anche aumentando il deficit e quindi il debito pubblico. Il problema italiano è che il nostro debito pubblico è già troppo alto e non ulteriormente aumentabile.

Per le ragioni sopra sintetizzate e “figlie” di molti approfondimenti fatti da autorevoli economisti italiani ed esteri, il piano Savona non avrebbe alcuna possibilità di accoglimento da parte della Commissione Europa. Anzi, c’è il rischio che venga letto come una vera e propria provocazione.

Bruxelles, come più volte detto, teme che un eccesso di indebitamento dell’Italia porti ad una nuova crisi finanziaria con gravi ripercussioni sul resto dell’Europa.

Secondo Cottarelli, il rischio implicito di piani di intervento velleitari come quello formulato da Savona, potrebbero comportare una drammatica sequenza di eventi che abbiamo già visto realizzarsi, ad esempio, in Grecia: perdita di accesso al mercato da parte dello stato e richiesta di aiuti esteri con conseguente perdita di sovranità, assoggettamento a programmi di austerità e nuovi sacrifici per i nostri concittadini.

Ci troviamo di fronte pertanto alla lucidità di Cottarelli e al velleitarismo propagandistico di Savona.

La triste realtà è che questo governo immerso in mille problemi quotidiani per trovare un punto di accordo tra le due anime grilline e leghista, non ha né le competenze (né le cerca altrove!) né la responsabilità per redigere un piano di interventi economici adeguati ad una realtà sistemica molto preoccupante.

Se dovessimo perdere la fiducia (e non siamo lontani) nei nostri creditori (i sottoscrittori del nostro debito pubblico) la nostra forza negoziale sulle future aste di BTP, scenderebbe e lo spread, il costo del futuro debito, salirebbe, creando una spirale perversa di un aumento dei costi al servizio del debito.

L’anticamera di un default con la possibilità di ripetere la drammatica esperienza di Atene con la troika di Bruxelles nella stanza dei bottoni a Roma.

Insomma,  e questo è un grido angosciato di allarme, vogliamo concentrarci sul serio, coinvolgendo le migliori teste del paese, per condividere un piano pluriennale che intervenga sulla riduzione del debito pubblico, su una spending review non orizzontale, su una politica fiscale e di aiuti all’impresa anche a fini occupazionali? Dobbiamo crescere: questo è l’imperativo. Ma come? Non certo con il provocatorio libro dei sogni del ministro Savona. O con il grido “al lupo, al lupo” nei confronti degli Immigrants.

E’ ora di dire basta ai velleitarismi, alla propaganda d’accatto, alla manipolazione dell’informazione. L’opposizione si faccia sentire proattivamente invece di dare una spettacolo triste delle proprie beghe interne. Costituisca un Governo Ombra e si metta al lavoro, giorno dopo giorno, predisponendo critiche puntuali e scientifiche ai progetti governativi ma anche e soprattutto presentando altre “medicine”, altri tipi di intervento, altre proposte meno propagandistiche e più in linea con il nostro stato dell’economia attuale.

Alla fine, a pagare lo scotto di questo laboratorio politico, forse affascinante in astratto ma, in concreto, ad alto rischio distruttivo, saremo ancora Noi. I “famosi” cittadini, sulla carta, finalmente conquistatori di un rapporto diretto, non intermediato, con la leadership politica. Saremo ancora Noi, dicevamo, a pagare il conto finale.

Attenzione, perché questa volta il conto sarà caro, senza sconti o atteggiamenti comprensivi e generosi verso la nostra situazione. Perseguire una politica divisiva si porta con sé la creazione di sentimenti di reazione uguali e contrari. Molti partner europei ci stanno aspettando al varco… e non certo per offrirci un caffè.

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