La società virtuale è oggi sempre più vittima del cyberbullismo, termine utilizzato per riferirsi a quel complesso di ingiurie, molestie ed aggressioni di vario genere perpetrato attraverso l’utilizzo improprio degli strumenti digitali. Il dato sconcertante si registra tuttavia nell’incapacità dei governi di individuare e perseguire i “bruti digitali”, i quali sembrano aver eletto la rete come una vera e propria zona franca.

Quel che è più grave è che, data la loro impunità, i loro atti divengono via via sempre più estremi e plateali: ne è un esempio la pagina Facebook del Presidente della Camera Laura Boldrini, luogo di continue ingiurie e vessazioni. Non stupisce dunque che la parlamentare, dopo aver annunciato azioni legali, abbia ripubblicato le offese e le minacce ricevute corredate dai nomi dei loro autori. Quest’ultimo gesto, teso evidentemente alla stigmatizzazione e alla condanna sociale di questi comportamenti inaccettabili, può anche essere letto come il frutto dell’esasperazione. È infatti sconfortante scoprire che, nella prassi, quando si tratta di sanzionare o di perseguire penalmente gli autori di questi atti vergognosi, si presentano numerosi ostacoli, a volte insormontabili. Le problematiche emergono anzitutto nel predisporre strumenti tecnici efficaci che individuino i colpevoli. A queste difficoltà se ne aggiungono di ulteriori a livello giuridico; a partire dalla privacy fino ad inghippi di natura procedimentale, solitamente legati ai tempi per l’instaurazione di un processo giudiziario o di una procedura amministrativa.

A fronte di quanto sopra esposto, i legislatori nazionali e quello comunitario hanno cercato di assumere un atteggiamento pragmatico: nell’intento “limitare i danni” hanno quindi emanato una serie di provvedimenti diretti a responsabilizzare i service provider nei casi in cui non rimuovano celermente i contenuti illeciti segnalati loro dagli utenti. La ragione alla base della risposta normativa si fonda sul ruolo giocato da questi soggetti nella diffusione e nella veicolazione dei messaggi criminosi. Inoltre li si è spesso accusati di essere complici dei diffamatori, in quanto la visibilità di commenti, immagini e video illeciti di regola genera loro maggiori utili. Emerge quindi l’importanza di un comportamento etico del service provider. In quest’ottica, più o meno irreprensibilmente, quasi tutti i gestori di siti web si sono dotati di codici deontologici, stabilendo inoltre delle condizioni d’uso per il corretto utilizzo dei loro portali.

Se l’intento è del tutto apprezzabile, data la continua espansione della comunità virtuale che ad oggi conta miliardi di persone e data l’immensità del materiale caricato ogni giorno sulla rete, dovuto soprattutto alla nascita dei Social Network, non si è riusciti ad arginare il fenomeno. Questo, all’opposto, si sta aggravando.

Dato l’allarme sociale suscitato negli ultimi tempi, il Parlamento tedesco ha infine recentemente adottato un nuovo provvedimento in materia, destinato ad entrare in vigore nelle prossime settimane. Con il dichiarato intento di continuare nella direzione di responsabilizzare maggiormente le grandi piattaforme virtuali, è prevista, in caso mancata rimozione di contenuti “manifestamente illegali” segnalati da parte degli utenti, l’irrogazione di una multa che può arrivare a contare l’impressionante cifra di 50 milioni di euro. Malgrado l’entità forse esagerata della sanzione, parte della stampa italiana l’ha già acclamata, auspicando fortemente l’introduzione di una soluzione simile anche nel nostro ordinamento. Infatti il provvedimento ad oggetto si muove nella direzione tracciata da una parte della dottrina giuridica del nostro paese, la quale ha sempre sostenuto come da una maggior responsabilità degli ISP non possa che derivarne un maggior controllo sul materiale immesso, e, di conseguenza, una maggiore legalità sul web. Gli effetti benefici si riscontrerebbero sotto un duplice profilo: (i) il provider avrebbe tutto l’interesse ad eliminare i messaggi lesivi il più celermente possibile, limitando in tal guisa i danni generati dalla loro diffusione; (ii) inoltre le vittime, data la difficoltà incontrata nell’identificare i loro diffamatori, troverebbero un soggetto nei cui confronti far valere le proprie ragioni.

Non bisogna tuttavia dimenticare che, nell’addossare ai service provider un tale peso, riemerge il rischio, già lamentato in passato, che lo Stato, anziché agire direttamente e personalmente per assicurare il rispetto della legge, cada nella tentazione di prevedere dei gestori-sceriffo, i quali, pur di non dover pagare di tasca propria, eliminino preventivamente i contenuti degli utenti senza preoccuparsi di accertare che questi siano effettivamente lesivi. In altre parole si evoca lo spettro della censura.

È poi chiaro che il requisito della manifesta illegalità, se applicato in senso atecnico, rischia di venire strumentalizzato sull’altare degli interessi di mercato.

I caratteri di assoluta novità del provvedimento ad oggetto emergono tuttavia dalla decisione di affidare la decisione sulla rimozione dei contenuti allo stesso Social Network, rimettendo ad un’istituzione esterna ed indipendente solo le questioni di difficile risoluzione. Per arginare la pioggia di critiche da parte degli oppositori, è stato opportunamente precisato dal Ministro della Giustizia che la magistratura veglierà sul comportamento dell’operatore, pur non avendo, nell’immediato, alcun potere decisionale in merito al singolo caso concreto.

I commentatori più pessimisti evidenziano il rischio di un potere troppo grande nelle mani dei privati.

Nel Bel Paese si è intervenuti con la recentissima approvazione della legge 71/2017, contenente disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. La stessa prevede per il gestore del social network un obbligo di rimozione della pagina che conterrà materiale illecito e in assenza del suo oscuramento o della sua rimozione entro 48 ore dalla segnalazione dell’interessato provvederà il garante della Privacy a seguito di apposita istanza. È inoltre prevista la creazione di un codice di co-regolamentazione per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo, l’istituzione di un referente per ogni scuola, la previsione di un apposito atto di ammonimento da parte del Questore.

Per quanto la collaborazione dell’ISP possa essere determinante, non bisogna dimenticare che una soluzione pienamente efficace, se non definitiva, del fenomeno, passerà necessariamente per una piena responsabilizzazione del soggetto che ha creato il contenuto. Missione difficile, certamente, legata all’implementazione degli strumenti tecnologici disponibili, a norme coerenti e ad un’amministrazione della giustizia snella ed efficiente, ma finché i bruti virtuali non verranno adeguatamente sanzionati e rieducati ad un confronto civile, la semplice rimozione dei post non risolverà di certo il problema e, anzi, permarrà il rischio di oscillazione fra soluzioni che reprimono la libertà di espressione e quelle che danneggiano il mercato digitale, attribuendo al service provider un ruolo che non sempre è chiamato a sostenere.

Mario Balliano

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