La recentissima polemica tra Di Maio e Boeri sulle stime occupazionali conseguenti all’entrata in vigore del decreto dignità, dimostra un fatto lampante: l’importanza per la politica di controllare i fornitori di informazioni e dati sullo stato del paese.

Il consenso degli elettori lo si gestisce anche con la diffusione di dati statistici auspicabilmente “coerenti” con le misure adottate dal governo. Il tema della terzietà scientifica degli enti preposti a tale funzione è formalmente indiscutibile ma spesso sostanzialmente sospeso.

C’è , per venire alla nostra attualità, al governo, una piccola casella, molto conosciuta da tutti gli italiani, che sembrerebbe rappresentare una poltrona di serie B ma che, in realtà, ha un’importanza rilevante nella immagine del governo del paese: l’Istat. L’istituto preposto a produrre e fornire mensilmente il monitoraggio dei prezzi e dei consumi degli italiani. Sono tre, nella realtà, gli indici pubblicati dall’Istat: quello “armonizzato” che viene utilizzato da Eurostat per calcolare la media europea delle variazioni dei prezzi al consumo; quello denominato “intera collettività”, il più utilizzato, infine l’indice “famiglie operai e impiegati”, che viene utilizzato in ambito limitato, per esempio per aggiornare il canone di affitto.

Perché è importante presiedere l’Istituto di statistica? Perché registra e comunica ufficialmente ogni mese, con la pubblicazione dei suoi dati, il termometro della febbre dell’Italia, del suo stato di salute, del suo trend in atto.

Ferdinando Giugliano, in questi giorni su Repubblica, ci ha segnalato un pericolo importante con riferimento a questa nomina che, apparentemente, interessa “poco” o comunque sembrerebbe “meno” alla politica: “la questione è pressante, data la crescente impazienza che il governo sta palesando verso chi dimostri di avere a cuore la terzietà delle statistiche. Sembra quasi che i tecnici debbano prestare fede ad un progetto politico, indipendentemente dalla logica o dalle leggi della aritmetica. La forza di una democrazia – ha scritto Giugliano – dipende invece dalla presenza nel dibattito pubblico di informazioni corrette. L’Istat è dunque il primo baluardo contro l’oscurantismo degli abusi di potere.

Per comprendere in quali rischi si incorra minando la terzietà degli istituti di statistica basti ricordare quanto accaduto in Grecia poco prima della grande crisi di qualche anno fa. L’Istat greco aveva sottostimato l’ampiezza del deficit pubblico, dando l’impressione di un bilancio dello Stato più in ordine di quanto in realtà non fosse. Solo l’arrivo di un economista del Fondo Monetario internazionale, portò l’Elstat (l’Istat greco) a rettificare le statistiche.
Oggi Andreas Georgiou, il funzionario che riportò “Verità” nei conti pubblici greci è sotto processo per quella scelta, nonostante sia stata decisiva per ricostruire la credibilità dell’istituto e del paese.

Facciamo un passo indietro e inquadriamo, in sintesi, storia, mission e organizzazione dell’Istat.

L’istituto nasce nel 1926: il paniere di riferimento nel 1928. L’evoluzione del ruolo e dell’organizzazione dell’istituto è accuratamente raccontata sul sito dell’Istituto. Si è partiti con 59 prodotti nel paniere, raggruppati in cinque categorie che facevano riferimento ad una società con un consumo primario, legato soprattutto all’agricoltura. Adesso le categorie sono diventate 12, e anche i pesi all’interno del paniere sono cambiati. Fino al 1966 prodotti alimentari, bevande e tabacchi valevano oltre il 50% del paniere, dalla seconda metà degli anni 90 si sono “ristretti“, adesso non arrivano al 20%. Tutto ciò non si è verificato perché si spende di meno per cibo e vivande, anzi si spende di più: è che, in proporzione, sono cresciuti altri consumi, dai trasporti alla ristorazione alla ricreazione, con spettacoli e cultura. Oggi i prodotti monitorati sono 1489 e gli addetti al compito del controllo sono 350 sparsi nei vari uffici comunali di statistica in tutta Italia. Sono loro i protagonisti che operano sul territorio e che chiedono una prima valutazione su quello che arriva nei punti vendita, sui prodotti che cominciano a comparire o a scomparire dagli scaffali. Le loro segnalazioni vengono poi incrociate con i dati quantitativi che arrivano dall’indagine sui consumi e da altre fonti: il parametro è sempre quello del valore delle vendite quando si arriva ad una certa soglia considerata rilevante o quando si scende sotto quella soglia.

Com’è organizzato l’istituto? Oltre i 350 addetti presso le amministrazioni comunali sparsi sul territorio, ci sono 30 statistici che operano negli uffici centrali di via Balbo a Roma.

La rilevazione dei prezzi si avvale anche del contributo di importanti istituti privati come la Nielsen, il GFK e altri istituti specializzati. Da quest’anno arrivano all’Istat , grazie ad una specifica convenzione, anche le informazioni di 1781 supermercati e ipermercati.

Stiamo dunque parlando di una potente e consolidata corazzata che sforna scientificamente ogni mese la fotografia dello stato dell’arte dell’economia italiana soprattutto con un occhio alla domanda interna, quella relativa ai consumi, crollati dopo la crisi del 2007, con tutte le conseguenze che conosciamo bene.

Voi capite quindi l’importanza, quando si deve decidere una misura per il rilancio, ad esempio, proprio dei consumi interni, di conoscere i dati reali, fare con essi delle simulazioni e poi decidere politicamente, alla luce dei risultati ottenuti, quale sia la migliore opzione per indirizzare le risorse pubbliche dell’intervento.

Un esempio per tutti: per stimolare la domanda interna (i consumi degli italiani) è meglio una misura che abbia come target le famiglie direttamente (gli 80 € di Renzi) oppure le imprese (la riduzione del cuneo fiscale)? Metto, in altre parole, i soldi in tasca direttamente ai consumatori sperando che li investano subito innescando un meccanismo virtuoso anche per le imprese che producono e vendono quei prodotti di nuovo acquistati dai consumatori ovvero, decidendo di ridurre il cuneo fiscale, aiuto le imprese ad avere subito più risorse a disposizione per investimenti e assunzioni?

La corretta rilevazione dei dati “a monte” è fondamentale per decidere al meglio. Pickett si permette di aggiungere un altro elemento. È altresì essenziale anche per l’effetto domino emotivo che si scatena “a valle”. Se io cittadino italiano leggo che le cose vanno meglio, spendo di più, consumo con maggior spensieratezza. Ho meno angoscia per il futuro e mi occupo di nuovo di acquisti.

Dunque quanto è importante per la politica, non solo in Italia, il presidio sui rilevatori di dati. D’altronde analogo ragionamento vale per le agenzie internazionali di rating, quelle che danno i voti ai singoli Stati e alle loro politiche economiche. La loro indipendenza è un valore non negoziabile. Un cardine della democrazia.

Di qui le preoccupazioni di Giugliano sulla baruffa per la nomina del nuovo presidente dell’Istat. Deve essere un professionista che non si fa “tirare per la giacca” dai desiderata dei governanti di turno. Pubblica i dati come sono, anche se “brutti” per il paese e per il consenso del governo del momento.

Lo stesso Giugliano però sottolinea come esistano, per fortuna, garanzie istituzionali a protezione dell’autonomia e indipendenza dell’Istat: “L’indipendenza dell’Istat – ha scritto l’editorialista di Repubblica – gode di importanti salvaguardie, sia dal punto di vista delle nomine sia da quello operativo. La scelta del presidente deve essere controfirmata dal Capo dello Stato che in questi mesi ha dimostrato grande attenzione su nomine che avrebbero potuto destabilizzare la tenuta del paese. Inoltre, l’Istat deve conformarsi a standard e protocolli concordati a livello europeo, in quanto parte del sistema Eurostat. Tuttavia, la miglior garanzia è la proposta di un nome di assoluto livello e indipendenza. Il governo si muova presto, con trasparenza e cognizione della posta in gioco.”

Insomma stiamo con gli occhi aperti… sempre!
La Democrazia si gestisce e protegge con il controllo continuo e completo dell’Esecutivo: il compito istituzionale della opposizione di turno e della stampa “non di regime”.

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