Quando uno passa dal Bar della protesta a Palazzo Chigi…la musica cambia!

Piove, governo ladro!” non tiene più: bisogna passare dalla facile protesta demagogica alla proposta.

Bisogna passare dalle parole in libertà, la cosiddetta propaganda, al faticoso lavoro del “Costruttore”.

Di colui che, nella complessità riesce a trovare un punto di mediazione, una linea politica sostenibile e non troppo “distante” dalle promesse gridate nella campagna elettorale.

Giorgia Meloni, investita di un ampio consenso politico, ha vissuto questi suoi primi 100 giorni a Palazzo Chigi con impegno, determinazione, anche, in certi passaggi, con la giusta dose di umiltà di chi deve modificare il suo pensiero, il suo programma iniziale, in un contesto caratterizzato da una difficoltà forse mai accaduta per nessun governo negli ultimi 60 anni della nostra Repubblica.

Una guerra in Europa, a qualche centinaio di chilometri dai nostri confini; un post pandemia comunque con delle cicatrici pesanti sul nostro sistema sanitario e sui conti pubblici; un’esplosione dei costi delle materie prime vitali per il nostro Paese che non le possiede, con un conseguente aumento dell’inflazione che sta taglieggiando la capacità di acquisto degli italiani; l’enorme debito pubblico che restringe per non dire annulla le capacità di manovra del governo come si è visto nella recente legge finanziaria.

Insomma, un quadro generale che ridimensiona parecchio certi sogni demagogici annunciati nella campagna elettorale.

Tutti quelli citati sono i capitoli più rilevanti di un’agenda dei lavori del nostro Presidente del Consiglio che non costituiscono però l’intero perimetro  del suo lavoro quotidiano, calato in una continua emergenza nazionale e internazionale, imprevista e imprevedibile.

Giorgia Meloni ha gestito la situazione in questi primi mesi con serietà e, come dicevamo, con grande impegno personale.

Non sempre aiutata dai suoi ministri, non abituati ad una frequentazione quotidiana con i media che li ha travolti facendoli spesso inciampare in trappole o figure barbine.

Detto ciò, bisogna sottolineare un punto importante di questo laboratorio politico inedito per il nostro Paese, con una donna sola al comando e una coalizione di Centro Destra, più o meno divisa, nella stanza dei bottoni: rispetto alle nefaste previsioni della vigilia, ingigantite nella campagna elettorale dal Centro Sinistra, la Presidente di Fratelli d’Italia ha saputo, con dignità, rappresentare il nostro Paese a Bruxelles e nelle altre capitali europee.

Non rimangiandosi il suo passato “contro”, ma rivendicando un principio per cui l’Unione Europea deve essere un valore per i paesi membri non una elefantiaca macchina burocratica che si autoalimenta scordandosi i problemi interni dei partner.

Su sicurezza e politica dell’immigrazione, la nostra Premier ha avuto confronti duri con la Commissione Europea mettendo sul tavolo, con rude franchezza, il dovere degli stati membri di non lasciare sola l’Italia nella gestione di queste due criticità.

Ha sbagliato, invece, a non partecipare al Summit economico di Davos (mandando soltanto il Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara) perché, e questi primi 100 giorni lo dimostrano, ogni volta che si fa conoscere fuori dai nostri confini, anche nella diversità di opinioni politiche, si fa apprezzare e stimare; ottiene il rispetto dei suoi interlocutori.

Ogni volta riesce a svuotare i pregiudizi, dimostrandosi all’altezza dei problemi complessi sui quali deve prendere delle decisioni.

Per abitudine e per educazione, dicono i suoi collaboratori, ma anche i suoi avversari, studia i dossier, è preparata, conosce le lingue straniere: insomma, merita stima e rispetto da parte di tutti.

Gli italiani le hanno dato fiducia dopo la campagna elettorale, ma la sua popolarità è di molto aumentata anche da quando siede a Palazzo Chigi, in un clima generale di “non disturbare il manovratore”.

Da parte sua, anche se i sondaggi la danno vincente nelle prossime regionali in Lombardia e nel Lazio, continua a ripetere di sentirsi sotto esame e quindi di dover continuare a studiare e a presidiare la sua litigiosa coalizione.

Naturalmente i conflitti all’interno dell’opposizione l’hanno aiutata nel suo compito: le hanno lasciato campo libero!

I veri problemi glieli hanno creati di più i suoi alleati e, soprattutto, alcuni suoi ministri logorroici.

In Europa è finita la pacchia”, diceva Giorgia nei comizi di settembre.

Ha dovuto pagare dazio per queste sue dichiarazioni nelle prime frequentazioni oltre confine.

E’ ovvio, come dicevamo che, esaurita la fase della iniziale conoscenza adesso dovrà dimostrare agli altri paesi membri di avere la preparazione e la determinazione necessaria per rappresentare degnamente uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea.

Deve andare oltre le alleanze legate a vicinanza di affettività politica.

L’Italia ha bisogno del supporto di Bruxelles e questo Giorgia Meloni non deve mai dimenticarselo.

Sul fronte dell’alleanza con l’Ucraina, a dispetto dei dubbi leghisti e berlusconiani, ha tenuto la barra del timone dritta, confermando l’impegno dell’Italia rispetto agli impegni assunti.

Sul suo tavolo ha due tematiche scottanti sulle quali dovrà assumere decisioni tutt’altro che facili: ci riferiamo alla riforma costituzionale di Calderoli che in questi giorni sarà discussa al Consiglio dei Ministri.

Inoltre, dovrà sbloccare le spinose vicende legate alle concessioni balneari di cui i suoi alleati di governo vorrebbero un’ulteriore proroga delle concessioni pendenti.

Insomma possiamo parlare di un bilancio di chiaro-oscuri ma, è ovvio, da valutare in un contesto di una straordinaria complessità come quello del Mondo Matto in cui stiamo vivendo.

Giorgia Meloni merita una sufficienza anche intrisa di speranza.

L’attendiamo ai prossimi traguardi, senza pregiudizi ideologici, ma senza concederle nulla su questioni primarie proprio come la riforma costituzionale, la riforma della giustizia, il rispetto della legge sulla concorrenza, un rapporto dialettico ma collaborativo con Bruxelles.

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