Nell’euforia contraddittoria segnata dall’aspettativa dell’arrivo di uno stock di denaro mai visto tutto insieme, euforia spesso manipolata dal partitismo sul “se”,  sul “come” e sul “da chi” verrà gestita questa “fortuna”, forse ci stiamo dimenticando tutti un “pezzo”.
Un aspetto fondamentale.
Il presupposto del programma di utilizzo di queste straordinarie risorse per provare a rifondare finalmente questo zoppicante e rancoroso Paese.
Il … Noi!
Ci siamo, credo volutamente per vergogna o per distrazione, dimenticati che saremo Noi, tutti, a “dare un senso” virtuoso, positivo e visionario a questa opportunità; oppure a sprecarla come siamo stati bravissimi a farlo nel nostro recente passato.
Non sempre, per la verità!
Nel dopoguerra, abbiamo dato al mondo intero la dimostrazione che i fondi del famoso piano Marshall, nonostante il passato fascista, ce li meritavamo, li sapevamo far fruttare, li impiegavamo nel modo giusto per far riprendere un Paese distrutto fisicamente ed eticamente.
Negli ultimi trent’anni, soprattutto, ci siamo impigriti sul benessere o pseudo tale, appiattiti sulla protesta rancorosa o sul dividerci su cose non essenziali.
Siamo diventati dei magnifici esempi dello slogan Nimbi: saper giudicare gli altri per lo più negativamente, autoassolvendoci invece, sempre, in maniera totale.
Abbiamo coltivato e consolidato l’atavica furbizia dei cortigiani, una scorciatoia per ottenere miseri risultati a breve, sempre giustificata da una cinica sfiducia verso gli altri e soprattutto verso lo Stato.
Ci siamo avviluppati in una egoistica dimensione individual-famigliare, chiudendoci nel nostro laghetto di affetti più vicini e alzando muri costruiti con mattoncini fatti di paure, rimpianti, rabbia e pessimismo.
Abbiamo blaterato spesso e volentieri di Diritti, apparentemente lesi, violati, non riconosciuti, dimenticandoci completamente dei Doveri, termine fastidioso e irritante, espulso dal nostro vocabolario etico e quotidiano.
Proprio sui Doveri e sul sentire civico si giocherà, invece, la partita della grande riforma del Paese.
Dobbiamo recuperare il senso del dovere da associare, bilanciare e pretendere di poterlo fare, con quello dei diritti.
Oggi non abbiamo più l’alibi delle risorse.
Forse non per meriti ma per un doveroso riconoscimento della tragedia che abbiamo vissuto con senso di responsabilità, ci troviamo ad avere a disposizione risorse rilevanti per mettere mano ai problemi veri, annosi, mai risolti della nostra amata Italietta.
Sarà una scelta politica il “dove” allocare questi fondi … ci mancherebbe!
Speriamo però in una politica alta, bella, governata da una classe dirigente che, dimenticandosi per un certo tempo le ambizioni personali o le etichette partitiche, ragioni da statista, con obiettivi, visione e interventi a medio-lungo termine, non con l’orizzonte del consenso a breve, quello delle prime elezioni in calendario.
Già, ma quel consenso, arriverà da Noi, dalle nostre scelte, dalle nostre volontà di premiare non quelle promesse miopi, settarie “di parte”, gridate da politici vecchi e senza visione; ma quelle promesse mirate a progetti conditi necessariamente anche da sacrifici e rinunce (perché questo sarà il nostro futuro a breve, non illudiamoci!) per ottenere risultati di cui godranno finalmente i nostri figli e nipoti.
Come mai è così difficile parlare di Doveri? Si chiedeva Luciano Violante sulle colonne di Repubblica in questo ultimo mese.
La risposta che si è dato l’ex Presidente della Camera è che i Doveri segnano i limiti e non sono mai troppo graditi rispetto ai Diritti che aprono gli spazi: “I diritti richiamano libertà e democrazia; i doveri richiamano gerarchia e autorità. Di qui il fascino per i diritti e l’antipatia per i doveri. Ma i diritti, pur costituendo l’essenza della democrazia, non sono sufficienti, da soli, a sostenerla; possono affermarsi solo in una società che adempie ai doveri. Altrimenti la lotta per i diritti diventa una rissa tra ceti e corporazioni”.
Pensate, cari lettori, che Aldo Moro nel marzo del 1978, pochi giorni prima del suo tragico rapimento, in Parlamento, richiamò proprio il tema dei Doveri, gridando quasi, ai suoi colleghi, in quell’aula parlamentare: “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.
Moro non parlava soltanto dei doveri giuridici ma parlava anche di quelli politici e civici.
42 anni dopo il problema è rimasto sul tavolo, irrisolto, quasi scartato con fastidio da ciascuno di noi.
Il diritto nasce dall’individuo e dalle sue aspirazioni, il dovere nasce invece dalla comunità e dal rispetto reciproco.
Per circa mezzo secolo – ha scritto Violante – la società italiana è stata tenuta insieme da comunità politiche fondate su un forte senso di appartenenza: i partiti avevano gravi difetti, tuttavia insegnavano il senso del dovere. Quei partiti si sono spenti… in assenza di corpi politici intermedi, la società si disgrega e diventa sempre più difficile il compito di rappresentarla. Vengono alla ribalta partiti che non scelgono il leader, ma sono scelti dal leader; nuovi partiti nascono da dissidi nel ceto politico e non dalla necessità di rappresentare istanze sociali”.
Non dobbiamo quindi troppo stupirci sull’assordante silenzio che avvolge il tema dei Doveri.
Non possiamo però guardare al futuro senza recuperare il senso filosofico del dovere.
Non serve lamentarsi, bisogna fare uno scarto, adottare un nuovo paradigma che includa la priorità di riacquistare oltre al senso dei diritti, il senso dei doveri.
Occorre consolidare la società, ricostruire comunità, riannodare legami sociali – completa il suo ragionamento Luciano Violante – riscoprire l’etica pubblica, che è cosa diversa dal codice penale”
Soltanto così si potrà riprendere un discorso virtuoso sul futuro sperando che ci possa permettere di uscire dalle paludi del quotidiano.
Enzo Manes, autorevole imprenditore sociale, sul Corriere della Sera, è andato oltre: ha indicato una strada e individuato uno strumento per rifondare il senso civico, il civismo: la scuola.
E’ una illusione che chi vive sui mercati internazionali possa ignorare la condivisione delle nostre istituzioni formative e cavarsela comunque mandando i figli a studiare all’estero… un Paese che non investe in educazione, ad ogni livello, è un Paese che condanna al declino anche la propria economia”.
La priorità, secondo Manes, è quella di riconoscere come competenza essenziale la formazione civica e agire quindi perché questa diventi una componente fondamentale di qualsiasi programma di studi.
L’obiettivo di ogni percorso educativo – ha sottolineato Mases – deve essere quello di permettere di vivere responsabilmente la complessità del nostro tempo… Educare al civismo significa fornire gli strumenti culturali per comprendere che non si possono rivendicare diritti senza assumersi anche i doveri”.
Bisogna dunque sostenere un progetto culturale da portare in tutte le università italiane: “Un programma che investa in corsi, incorporati in tutte le discipline su temi fondamentali come l’etica pubblica, i beni comuni e l’amministrazione condivisa, la dimensione sociale delle imprese, le forme della partecipazione sociale, le nuove metriche per una misurazione del benessere che non coincida solo con il PIL. Una educazione pratica e non solo teorica”.
Perché lo scopo finale, secondo Manes “E’ di creare quei “fondamentali” che non possono mancare nella formazione di nessun cittadino”.
Questa testata si richiama, come abbiamo più volte ricordato, ai principi e ai valori del socialismo liberale di Carlo Rosselli.
Ebbene proprio in alcune pagine pubblicate sul settimanale Giustizia e Libertà del 1935 si ritrovano spunti di grande attualità proprio sul tema dei Doveri, da associare necessariamente al grande sogno dei diritti.
Scriveva in questi giorni il presidente della Fondazione Fratelli Rosselli, Valdo Spini: “Solo un’Italia capace di riformarsi profondamente può sfruttare con successo l’aiuto europeo. Non l’Italia del pre-Covid, non l’Italia dei 100 miliardi di evasione fiscale, non l’Italia con un tasso di produttività inferiore a molti altri paesi europei, non l’Italia con una criminalità organizzata che infesta vasti territori del paese, non l’Italia dal dislivello Nord-Sud inaccettabile che abbiamo dovuto registrare ancor prima della pandemia, né quella che ci è stata rivelata dalle intercettazioni tra politici e membri del CSM. Ma il presupposto del cambiamento è ricostruire una classe politica riconoscibile in un sistema di valori che le valgano rispetto e considerazione nella società italiana.
Possono allora queste due parole, Socialismo Liberale, dare un contributo alla ricostruzione politico-etica del nostro Paese?
Possono ancora scaldare i cuori, sensibilizzare le coscienze, conferire prestigio ad una classe dirigente che vi si ispiri?
Certamente sì.
A 83 anni dall’assassinio dei Fratelli Rosselli, esse restano un punto di forza per costruire un futuro di coesione e di sviluppo”.
Solo così, a mio avviso, potremmo davvero cogliere l’opportunità del Recovery Plan originata dalla tragedia e dai morti del Covid-19 e valorizzarla al meglio.
E’ un Dovere e una Responsabilità che abbiamo nei confronti di quei caduti.

Comments (2)
  1. Riccardo Tosi (reply)

    30 Luglio 2020 at 12:10

    Caro Riccardo, hai citato il 1978 di Aldo Moro e forse è da li o era già in corso il decadimento morale del Paese. Forse il benessere, magari facilmente raggiunto, ha fatto smarrire la consapevolezza dei Doveri. Doveri che, per una sana crescita dei popoli, non possono non essere obbligatoriamente coniugati coi diritti! Mi sento di poter dire che a quei tempi la consistenza di chi praticava la politica era di ben altro spessore, sia culturale sia morale. Il senso dello Stato era ben più presente e assorbiva facilmente alcune…malefatte che anche allora ogni tanto affioravano. Condivido il richiamo alle modalità con le quali verranno investite le ingenti risorse che ci arriveranno (male sarebbe se non si accedesse anche al Mes!), proprio perché le capacità politiche/gestionali/morali di chi dovrà gestirle suscitano più di una riserva. Possiamo solo augurarci che, almeno in questa fase così drammatica, prevalga finalmente un senso dello Stato fin qui smarrito, accompagnato da interventi finalizzati al recupero del benessere e dei valori che il nostro martoriato Paese merita.

  2. Mauro (reply)

    30 Luglio 2020 at 12:59

    Caro Riccardo
    purtroppo il Noi non è Noi ma è dei soliti politicanti ( lascia se di destra o di sinistra perché tanto di base sono degli incapaci ) che sono lontani dalla realtà , sono ignoranti e senza istruzione e quindi totalmente incapaci di ideare ( lasciamo stare di intraprendere ) un piano di sviluppo pluriennale.
    Anche se fosse ,e non è, la stupidità e la totale immobilità voluta dalla burocrazia del sistema Italiano e degli Italiani e tale da non permettere a nessuno di programmare e realizzare un progetto stutturato perchè tanto cambiamo sempre tutto e non concediamo il tempo a nessuno di concludere qualcosa anche perché per fare una cosa lo stato è molto ma molto più lento di un elefante pur avendo strutture gigantesche in buona parte di fancazzisti

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