Distacco dalla politica; nausea dei politici; abbandono di tutte quelle forme di partecipazione che avevano caratterizzato la politica italiana negli anni del dopoguerra: le sezioni di partito, i comizi, le tavole rotonde, lo stare insieme per discutere, ascoltare, confrontarsi con i nostri rappresentanti, conoscendoli meglio e sentendo dalla loro viva voce programmi, iniziative, proposte per cercare di migliorare la nostra comunità locale e nazionale.

Un mondo che non c’è più: un mondo che è stato travolto, ad avviso di Pickett, da due fattori concorrenti, non solo italiani ma soprattutto italiani: (1) la “cattiva“ politica, sempre più occupata, salvo poche eccezioni, a mantenere i privilegi della casta dimenticandosi le priorità dei cittadini elettori e (2) la rivoluzione di Internet.

La Rete ha favorito il sogno della disintermediazione politica (la cosiddetta democrazia diretta); i cattivi esempi hanno completato il cerchio.

Inoltre, non dimentichiamolo mai, la crisi economica ha fatto esplodere il malessere. È storicamente provato che, fin dai tempi antichi, se la “pancia è piena“ il popolo non protesta. Non ha velleità di potere.

Anzi! E ne abbiamo già parlato di recente, delega volentieri la gestione della cosa pubblica, occupandosi delle sue cose private.

Certo, se i delegati rompono il rapporto fiduciario, dimenticano le promesse fatte, il patto concluso con gli elettori e una crisi economica crea disuguaglianze insopportabili, allora la politica torna in prima pagina, ridiventa protagonista della nostra quotidianità. Non come interesse e passione però, come bersaglio delle nostre contestazioni da malessere, soprattutto economico.

In questo quadro, credo ben conosciuto e vissuto direttamente da ciascuno di voi, vi racconto una esperienza recentissima di segno opposto. Un evento che mi ha sorpreso, affascinato, stimolato a pensare come importarlo in Italia, proprio in quel contesto di rapporti tra i cittadini e la politica pessimo sia come qualità sia come quantità.

In Svezia per motivi di lavoro, grazie al suggerimento di un collega di Stoccolma, decidiamo di andare a scoprire la città medievale meglio conservata di tutto il paese: Visby, sull’isola di Gotland, davanti a Stoccolma, raggiungibile in traghetto. Per pura coincidenza, nel weekend individuato, si svolgeva a Visby, una comunità di circa 22.000 abitanti, l’ormai tradizionale “Almedalen“, l’evento di sette giorni che combina in modo innovativo ed inusuale dibattiti e confronti politici, sociali ed economici.

Essendo completamente ignari dell’evento, appena messo il piede sull’isola, potete immaginare lo stupore di leggere (in doppia lingua quasi tutti i materiali della manifestazione!) cosa stesse avvenendo e cosa fosse programmato in quel sabato e domenica. Fummo travolti dall’ansia di partecipazione, dalla voglia di non perderci nulla di quello che stava per accadere sotto i nostri occhi. Inutile nasconderlo: il tutto filtrato dal solito cinismo italiano di chi “ha già visto tutto in questo mondo” e quindi si lascia andare a commenti del tipo “sarà la solita sagra paesana vista e rivista centinaia di volte nei nostri paesi”.

Mai presunzione e ignoranza furono così immediatamente respinte come a Visby quel sabato di neanche un mese fa.

Pickett si trovò di fronte ad una scena quasi da film.
Nel parco principale dell’isola si era radunata un sacco di gente che si gustava il picnic sull’erba in attesa dell’inizio… pensavamo di un concerto. Invece no: aspettavano tutti l’inizio di un dibattito sui problemi collegati all’immigrazione, tenuto da due rappresentanti dell’opposizione al governo di Stoccolma.
Nelle vie intorno al parco si organizzavano altri dibattiti su temi come la Brexit, la legge sulla cannabis o quella sulle pensioni in Svezia.
Nei loro stand alcune grandi imprese e ONG svedesi offrivano ai visitatori borse e biro promozionali.
Poi, alle 19:00, tutti i partecipanti convergevano verso il grande prato del parco per ascoltare Ulf Kristersson, leader dei Moderati, il maggior partito del centro destra svedese che sogna di tornare al governo dopo le prossime elezioni di settembre.

Già, perché alla Almedalen sono invitati e partecipano entusiasti tutti i partiti politici svedesi, dall’estrema sinistra all’estrema destra. L’unica sigla a cui non è stato concesso di affittare uno stand e quindi di avere un pulpito per incontrare i cittadini, è stato l’ MNR (il movimento di resistenza nordica) un partito che si richiama al nazismo per la difesa della razza.
Per un italiano, proveniente dal malmostoso rapporto tra elettori ed eletti che caratterizza la nostra attualità (con la cifra del 40% di astensioni in continuo aumento ad ogni turno elettorale), lo shock e le emozioni sono un tutt’uno.
Ogni estate, la stessa settimana ai primi di luglio, gli esponenti degli otto partiti politici rappresentati nel parlamento svedese si ritrovano a Visby per parlare dei problemi della Svezia, esponendo le loro idee.

In base all’esito di un sorteggio programmato nella settimana precedente all’evento, l’edizione 2018 è stata inaugurata da Ulf Kristersson seguito da Jonas Siostedt, del partito della sinistra: nei giorni successivi è toccato poi, a turno, a tutte le altre formazioni politiche, dai socialdemocratici fino all’estrema destra non fascista.
Il nostro Caronte, un giovane avvocato di Stoccolma, pieno di ambizioni professionali ma anche di passione politica, ci spiega che “chi ama la Almedalen lo fa perché questa è una vera festa della democrazia; ci sono molti che la contestano in quanto la dipingono come una insopportabile commistione di generi. In ogni caso si tratta di un incontro veramente rappresentativo della nostra cultura svedese: una cultura del consenso.”
L’origine di questa manifestazione risale al più famoso uomo politico della storia svedese: Olof Palme, che ricoprì la carica di Primo Ministro per oltre 10 anni prima di essere assassinato nel 1986. Fu Palme, nel 1968, a prendere l’iniziativa di aprire un dialogo diretto con gli elettori in questo parco di Almedalen, sull’isola di Gotland dove allora trascorreva le sue vacanze estive.
Il suo esempio ebbe successo e fece proseliti. Negli anni successivi anche gli altri partiti di sinistra, seguiti poi pure da quelli di destra, aderirono all’iniziativa di Palme che venne ribattezzata subito “Palmeladen“. Dal 1996 la svolta: incominciarono ad aderire all’evento sindacati, associazione di categoria, lobby, istituzioni, ONG provenienti anche da altri paesi. Infine, negli ultimi anni, anche le grandi imprese scandinave incominciarono a sponsorizzare singole iniziative all’interno dell’evento, apprendo stand e facendosi carico di parte dei costi della manifestazione. Di qui le critiche, o meglio le preoccupazioni, che abbiamo raccolto sull’isola in ordine alla possibile “cannibalizzazione” dell’evento da parte dei “poteri economici“. Ci sono oltre 4000 eventi organizzati durante la settimana. Tutti rigorosamente gratuiti. Chi desidera può fare delle donazioni all’organizzazione e/o ai partiti politici presenti. Tutto deve essere doverosamente registrato con ricevuta deducibili dalle imposte.

Il rischio che Almedalen possa diventare un business esiste. Inutile girarci intorno. La pura e semplice “festa dell’unità“ (non in senso partitico ma nel senso di una collettività che si riunisce e si confronta) che si trasforma in una macchina per fare soldi grazie a sponsor aziendali è un rischio da prevenire e gestire: “questa manifestazione – ci dice preoccupato il collega di Stoccolma – è per ora unica al mondo ma le aziende sono sempre più presenti e un cittadino medio non riesce più a pagarsi una camera d’albergo… È diventato un business.”

Passeggiando per il vecchio borgo medievale questa sensazione esiste e ti avvolge: lungo le vie lastricate, gli stand più grandi sono quelli dei media, dei giornali e dei canali televisivi svedesi che assicurano la diretta per lunghe ore durante tutta la settimana. In termini di audience, la manifestazione può essere ormai considerata come l’equivalente del Tour de France in Francia.

Ci raccontano che dopo ogni edizione si sente dire che il fenomeno sia destinato a sgonfiarsi e che i leader non verranno più: invece avviene esattamente il contrario. Nessuno vuol correre il rischio di mancare ad un evento come questo… Ormai per i politici è un dogma: non posso non esserci!

La politica a Visby esce allo scoperto. Si fa conoscere. Ciascuno di noi può incontrare per caso o ad un dibattito organizzato, i leader dei partiti e sedersi con loro a discutere, confrontarsi sulle problematiche anche più spinose come l’immigrazione. Pickett ha raccolto, davanti ai due tradizionali boccali di birra locale, due testimonianze utili a comprendere meglio il “perché”  la gente (ormai più di 40.000 visitatori) ogni anno aumenta e viene sull’isola volentieri, ad ossigenarsi, ad istruirsi su temi complessi mai realmente approfonditi sul serio.

“So già per chi voterò ma mi interessa anche ascoltare gli oratori degli altri partiti…. I politici qui non stanno su una tribuna ma in mezzo a noi, accessibili. Con un po’ di fortuna si può persino parlare col primo ministro.”

La seconda testimonianza dimostra l’ampiezza del palinsesto degli eventi programmati: “ogni giorno guardo il programma e scelgo ciò che mi interessa: ora sono capitato per puro caso in questo dibattito sui rapporti tra l’Islam e diritti umani che mi ha davvero aperto gli occhi.”

Le 48 ore trascorse a Visby ci hanno rimandato alle suggestioni eporediesi di Olivetti. Ci è sembrato di ritornare al progetto politico di Adriano, denominato Comunità.

Il progetto di coinvolgere tutti cittadini nell’attività politica, partendo proprio dal territorio, della conoscenza diretta, da un rapporto elettore-eletto di stima, conquistato nella quotidiana, reciproca frequentazione.

Olivetti pensava ad una riforma dello Stato su base federalista con la definizione di tante comunità locali di non più di 100.000 persone ciascuna. Di lì sarebbe partita la vera democrazia: dal basso. Gli eletti a Roma avrebbero avuto il compito di portare le istanze dei propri territori coniugandole con gli interessi nazionali.

Il rapporto elettore-eletto sarebbe stato continuo, profondo, basato sulla conoscenza personale e sull’apprezzamento diretto. Ma anche sulla responsabilità dell’eletto di tornare spesso nella sua comunità per riferire il lavoro svolto, discutere le criticità emerse, rilanciare a Roma nuovi progetti e nuove proposte.

Almedalen è uno specchio di cosa immaginava Adriano Olivetti. Quasi un “ufo” per chi oggi considera inevitabile l’odio per la politica… E anzi ci specula sopra.

“È la cultura del consenso“ ci dice, lasciando, quasi dispiaciuti, l’isola di Gotland, il nostro giovane collega di Stoccolma.

Un esempio sicuramente replicabile anche in Italia, su cui meditare cari amici… Prima che sia troppo tardi.

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