Il cartello è uguale a tanti altri. Di cartone, color marrone da imballaggio. La dimensione: un formato A4. Tutti scritti rigorosamente a mano in un lessico stentato ma molto espressivo.
Li abbiamo visti, ahinoi, agli incroci delle vie delle nostre città; negli angoli semi bui dei portici cittadini; fuori dalle chiese: sono i manifesti della Povertà.
Le grida di aiuto scritte e non urlate da chi non ce la fa più. Una volta, parliamo di 10-15 anni fa, gli incontri con i mendicanti erano saltuari, costituivano quasi una eccezione. Presenti ma non angoscianti. Non così numerosi come ci accade di vedere in questo inizio di primavera del 2019.
Le scritte si accomunano, invocano generosità, assistenza, aiuto. “Sono una mamma con 4 figli, senza lavoro … aiutatemi”;Sono un invalido, non riesco ad andare avanti così”; “Sono ammalata, aiutatemi, non ce la faccio più”, ecc. ecc. ecc.
Decine, centinaia, migliaia di strazianti invocazioni alla pietà, alla misericordia, alla solidarietà, all’aiuto.
Invece, l’altra mattina l’incontro con il “cartello” è stato diverso. Subito non lo abbiamo notato nella sua peculiarità. Il contesto era identico. Quello di sempre. Il mendicante che chiede l’elemosina. La scritta rappresentava una richiesta di un obolo per sfamarsi. Per tirare avanti. Per vivere un’altra giornata di stenti.
Eppure c’era qualcosa di strano, di diverso, di anonimo in quel cartello marrone di cartone con una scritta in caratteri stampatello.
Con una frazione di secondo di ritardo abbiamo scoperto la parolina nuova, sorprendente. Angosciante nella sua semplice tragicità. “Sono una mamma italiana aiutatemi”… “italiana” era la parola magica, che costituiva una novità non solo lessicale, ma culturale. La poveretta aveva pensato che, vista l’area che tira nel paese, era meglio caratterizzarsi come cittadina italiana per sperare di aumentare la suggestione emotiva nei passanti. Il trasferire, enfatizzandolo, il concetto di italianità poteva invogliare di più i generosi a versare la loro elemosina.
La paura e l’odio verso gli stranieri, quelli con la pelle diversa, insegnano come sia meglio, anche nel tragico mondo della povertà, qualificarsi, legittimarsi come “italiano”, a precisare in modo completo la propria cittadinanza.
Ad un lettore di Repubblica è venuto il dubbio, proprio in questi giorni, che ci sia una regia dietro questa mutazione lessicale. Che il racket dei poveri abbia immaginato una nuova forma di “marketing” più attraente per impietosire la gente.
Pickett crede che valga la pena riportare degli stralci della risposta che Corrado Augias ha scritto al suo lettore: “Il sospetto che si tratti di una piccola tratta sui più poveri è verosimile – ha scritto Augias nella sua rubrica – del resto, organizzare i poveri perché rendano, taglieggiare i loro miseri proventi è un mestiere antico. Ce lo raccontano le cronache, le leggende, la letteratura. Oliver Twist nel romanzo di Dickens incappa in una banda di piccoli miserabili organizzati e sfruttati. Le leggende sulle varie “corti dei miracoli” a Parigi nascono da fenomeni analoghi. Dei piccoli calabresi che suonavano l’organetto a Central Park sono piene le cronache della New York ottocentesca… Nuovo se mai  – ha continuato Augias – è il connotato diciamo politico di una tale organizzazione ovvero puntare sull’italianità del mendicante sfruttando l’onda del risentimento contro gli immigrati e i vari slogan che l’accompagnano è lo stesso meccanismo psicologico della pubblicità, cogliere lo spirito dei tempi… Che il richiamo all’italianità continui è in certo modo coerente con il passato, il fatto che sia finito sui cartelli di chi chiede l’elemosina è solo la sua riduzione ai  minimi termini, segna anche questo il declino dei tempi”.
Pickett condivide il ragionamento di Augias e si permette un’ulteriore, amara, riflessione. “Italians First” ha prodotto anche questa miseria culturale. Questa triste fotografia del come siamo diventati.
Il grande slogan sovranista ha infettato tutte le piazze del mondo e ha contaminato anche i meno fortunati, i poveri.

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