Pickett pubblica qui di seguito il testo del DDL sulle fake news presentato in Parlamento il 7 febbraio 2017 con due commenti a margine. Uno di Pickett medesimo e uno di Giuseppe Vaciago, avvocato penalista molto impegnato sul fronte giudiziario del contenzioso online e molto attivo nell’approfondimento delle tematiche giuridiche originate negli ultimi anni dallo sviluppo rivoluzionario, e non sempre virtuoso, della Rete.

Ecco, dunque, il testo del DDL con le note di Pickett e di Vaciago.

Poi… si apra il dibattito. Buona lettura.

Disegno di legge n. 2688 – Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica

Art. 1. (Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico, attraverso piattaforme informatiche)

  1. Dopo l’articolo 656 del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 656-bis. – (Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendeziose, atte a turbare l’ordine pubblico, attraverso piattaforme informatiche). – Chiunque pubblica o diffonde, attraverso piattaforme informatiche destinate alla pubblicazione o diffusione di informazione presso il pubblico, con mezzi prevalentemente elettronici o comunque telematici, notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o falsi, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’ammenda fino a euro 5.000».

  1. Nel caso in cui le fattispecie previste dall’articolo 656-bis del codice penale, introdotto dal comma 1 del presente articolo, comportino anche il reato di diffamazione, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’articolo 185 del codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa e alla diffusione della notizia, ai sensi dell’articolo 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Si applica altresì il terzo comma dell’articolo 595 del codice penale.
  2. L’articolo 656-bis del codice penale, introdotto dal comma 1 del presente articolo, non si applica ai soggetti e ai prodotti di cui alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, e di cui all’articolo 1, comma 3-bis, della legge 7 marzo 2001, n. 62.

Art. 2. (Diffusione di notizie false che possono destare pubblico allarme, fuorviare settori dell’opinione pubblica o aventi ad oggetto campagne d’odio e campagne volte a minare il processo democratico)

  1. Dopo l’articolo 265 del codice penale sono inseriti i seguenti:

«Art. 265-bis. – (Diffusione di notizie false che possono destare pubblico allarme o fuorviare settori dell’opinione pubblica).

– Chiunque diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possono destare pubblico allarme, o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi pubblici o da fuorviare settori dell’opinione pubblica, anche attraverso campagne con l’utilizzo di piattaforme informatiche destinate alla diffusione online, è punito con la reclusione non inferiore a dodici mesi e con l’ammenda fino a euro 5.000.

Art. 265-ter. – (Diffusione di campagne d’odio o volte a minare il processo democratico).

– Ai fini della tutela del singolo e della collettività, chiunque si rende responsabile, anche con l’utilizzo di piattaforme informatiche destinate alla diffusione online, di campagne d’odio contro individui o di campagne volte a minare il processo democratico, anche a fini politici, è punito con la reclusione non inferiore a due anni e con l’ammenda fino a euro 10.000».

Art. 3. (Comunicazione al tribunale e obblighi dell’amministratore del sito)

  1. Al fine di accrescere la trasparenza e di contrastare l’anonimato, all’atto dell’apertura di una piattaforma informatica destinata alla pubblicazione o diffusione di informazione presso il pubblico, non soggetta agli obblighi di cui all’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e di cui all’articolo 1, comma 3-bis, lettera a), della legge 7 marzo 2001, n. 62, l’amministratore della piattaforma medesima deve, entro quindici giorni dalla diffusione online, darne apposita comunicazione, tramite posta elettronica certificata, al tribunale territorialmente competente, trasmettendo il nome e l’URL (Uniform resource locator) della piattaforma elettronica e le seguenti informazioni personali:
  2. a) cognome e nome;
  3. b) domicilio;
  4. c) codice fiscale;
  5. d) l’indirizzo di posta elettronica certificata.
  6. L’amministratore della piattaforma informatica di cui al comma 1 deve indicare in modo visibile e pienamente accessibile all’utente della stessa l’indirizzo di posta elettronica certificata per qualsivoglia comunicazione.

Art. 4. (Rettifica)

  1. L’amministratore di cui all’articolo 3 è tenuto a pubblicare le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale.
  2. Le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma 1 sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, sulla pagina principale della piattaforma e con la medesima evidenza riservata al contenuto contestato.
  3. Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza.
  4. La mancata o incompleta ottemperanza all’obbligo di cui al presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da 500 a 2.000 euro.

Art. 5. (Misure a tutela del soggetto diffamato o del soggetto leso nell’onore o nella reputazione)

  1. Fermo restando il diritto di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti ai sensi dell’articolo 4, l’interessato può chiedere l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge e delle notizie sulla propria persona che non rivestano una rilevanza attuale o motivo di pubblico interesse.
  2. L’interessato, in caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei dati, ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, può chiedere al giudice di ordinare la rimozione, dai siti internet e dai motori di ricerca, delle immagini e dei dati ovvero di inibirne l’ulteriore diffusione.
  3. In caso di morte dell’interessato, le facoltà e i diritti di cui al comma 2 possono essere esercitati dagli eredi o dal convivente.

Art. 6. (Modifiche alla legge 13 luglio 2015, n. 107)

  1. All’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, sono apportate le seguenti modificazioni:
  2. a) al comma 7, dopo la lettera f) sono inserite le seguenti: «f-bis) potenziamento delle attività di formazione continua e professionale con particolare riferimento alle norme e ai meccanismi necessari a prevenire il rischio di distorsione delle informazioni o di manipolazione dell’opinione pubblica; f-ter) alfabetizzazione mediatica e sostegno ai progetti di sensibilizzazione e ai programmi di formazione mirata volti a promuovere l’uso critico dei media online»;
  3. b) dopo il comma 10 è inserito il seguente:

«10-bis. Nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado sono realizzate, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, iniziative di formazione rivolte agli studenti, per sostenere la formazione alla professione di giornalista»;

  1. c) al fine di sensibilizzare gli studenti all’importanza di veicolare una corretta informazione, anche attraverso i media online, al comma 34, dopo le parole: «o con gli ordini professionali,» sono inserite le seguenti:

«o presso i media online».

Art. 7. (Disposizioni concernenti la responsabilità dei gestori delle piattaforme informatiche in caso di pubblicazione o diffusione di notizie non attendibili o non veritiere)

  1. I gestori delle piattaforme informatiche sono tenuti ad effettuare un costante monitoraggio dei contenuti diffusi attraverso le stesse, con particolare riguardo ai contenuti verso i quali gli utenti manifestano un’attenzione diffusa e improvvisa, per valutarne l’attendibilità e la veridicità.
  2. Quando i gestori rintracciano un contenuto di cui al comma 1 e ne stabiliscono la non attendibilità sono tenuti alla rimozione dello stesso dalla piattaforma.
  3. Nel caso in cui i gestori non rimuovano tali contenuti sono soggetti alla sanzione di cui all’articolo 656-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 1 della presente legge.
  4. I soggetti di cui al comma 1, nella loro azione di monitoraggio, devono avvalersi anche delle segnalazioni degli utenti effettuate attraverso appositi strumenti accessibili dalla piattaforma medesima.

Art. 8. (Modifiche alla legge 14 aprile 1975, n. 103)

  1. All’articolo 4, primo comma, della legge 14 aprile 1975, n. 103, dopo il primo capoverso è inserito il seguente:

«monitora gli standard editoriali delle piattaforme informatiche destinate alla pubblicazione e diffusione di informazione con mezzi telematici delle emittenti radiotelevisive pubbliche, verificando la corrispondenza tra i livelli qualitativi offline e quelli online ed incentivando una particolare attenzione ai contenuti generati dagli utenti e pubblicati su tali piattaforme telematiche e adotta le deliberazioni necessarie all’osservanza di tale indirizzo;».

 

Il commento di Giuseppe Vaciago

Il DDL “Gambaro” (in realtà i firmatari sono Adele Gambaro, Riccardo Mazzoni, Sergio Divina, Francesco Maria Giro) introduce così il tema delle fake news: “Internet ha sì ampliato i confini della nostra libertà dandoci la possibilità di esprimerci su scala mondiale, ma la libertà di espressione non può trasformarsi semplicemente in un sinonimo di totale mancanza di controllo, laddove controllo, nell’ambito dell’informazione, vuol dire fornire una notizia corretta a tutela degli utenti”.

Se è comprensibile questo tipo di approccio nei confronti di chi fa informazione on line e per tale ragione si assume le responsabilità della sua scelta professionale, non è altrettanto evidente quali tipo di parametri debba adottare un hosting service provider, ovvero una piattaforma che ospita contenuti di terzi, per poter definire “fake” una notizia. In alcuni casi è evidente, ma in altri i rischi di fare disinformazione rimuovendo una notizia vera sono molto alti. Anticipando le conclusioni, il vero problema della libertà di espressione in Rete rimane sempre lo stesso: “Quis custodiet ipsos custodes?”.

Partirei da questo presupposto per commentare questo testo di legge che, come accade spesso, ha alcune luci e molte ombre, ma è sicuramente un punto di partenza per aprire un dibattito doveroso e necessario alla luce degli ultimi episodi occorsi a livello nazionale e internazionale.

Ma andiamo con ordine.

Il DDL introduce tre nuovi reati: il primo prevede l’introduzione dell’art. 656-bis c.p. che andrebbe a punire con un’ammenda fino a 5.000 euro colui il quale pubblica attraverso piattaforme informatiche notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino fatti falsi. Inoltre, lo stesso articolo prevede che qualora tali notizie costituiscano anche diffamazione si debbano considerare per il risarcimento del danno i parametri fissati dalla legge sulla stampa (art. 12 legge 47/48). Se posso -ammetto con fatica- comprendere la necessità di creare una sorta di diffamazione di “serie B” avente natura contravvenzionale, non mi è chiaro perché nel caso in cui vi sia anche la diffamazione di “serie A” si introduca come parametro per il risarcimento della persona offesa presente il concetto di “diffusione dello stampato” applicando ad Internet una legge di quasi 70 anni. Lasciare un parametro così ampio e discrezionale può consentire ai giudici di poter utilizzare il solo fatto che l’articolo sia stato fruibile in tutto il mondo per giustificare un’ampia e indiscriminata “diffusione dello stampato”. La verità è che Internet non deve essere considerato come l’evoluzione fisiologica della stampa, ma come uno strumento con regole e linguaggi tecnici totalmente diversi.

Il secondo e il terzo reato introdurrebbero l’art. 265-bis e 265-ter c.p. L’art. 265-bis punisce con la reclusione non inferiore ad 1 anno e l’ammenda fino a 5.000 euro “chiunque diffonde notizie false che possono destare pubblico allarme o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi pubblici o fuorviare settori dell’opinione pubblica”. L’art. 265-ter punisce con la reclusione non inferiore a 2 anni e l’ammenda fino a 10.000 euro chiunque “si rende responsabile di campagne d’odio contro individui o di campagne volte a minare il processo democratico anche a fini politici”. Questi ultimi due reati sono chiaramente il cuore del disegno di legge. Come da altri è già stato rilevato, i proponenti vorrebbero traslare in tempo di pace una norma pensata per il tempo di guerra (l’art. 265 c.p. infatti è il reato di “disfattismo politico” in tempo di guerra). Detto questo, è indubbio che l’265-ter risponde ad un’esigenza alla quale la legge “Mancino” (legge 205/93) non aveva saputo rispondere estendendo la punibilità a tutte le tipologie di campagne discriminatorie senza limitarla a quelle legate all’ideologia nazifascista. Si pensi ad esempio alle recenti campagne di odio verso i disabili che indubbiamente meritano una tutela più rafforzata.

Il DDL prosegue con uno degli articoli più criticati: ogni soggetto che decida di aprire un blog o un sito di informazione deve comunicare i suoi dati anagrafici e il suo indirizzo di posta elettronica certificata al Tribunale competente. L’intento è sicuramente nobile, in quanto molto spesso è estremamente difficile ottenere le informazioni del gestore di un sito internet verso cui indirizzare le proprie comunicazioni e/o diffide. Tuttavia, vedo con una certa preoccupazione la concreta applicazione di tale disposizione normativa, considerando la difficoltà per l’autorità di controllare il rispetto di un obbligo tanto massivo e il fatto che chi vuole rimanere anonimo, continuerà a farlo, grazie a strumenti di anonimizzazione (TOR in primis).

L’articolo 4 del DDL prevede un obbligo di rettifica entro 48 ore dalla richiesta che, in caso di inottemperanza, può comportare una sanzione amministrativa da 500 a 2.000 euro. Tale previsione ha ricevuto molte critiche dal mondo della Rete, ma mi permetto di uscire sommessamente da tale “coro”: mi sembra corretto che chi decide di fare informazione si assuma anche l’onere di dare il diritto di replica a chi si sente, magari anche legittimamente, diffamato. Meno convincente e, forse superfluo, è il successivo articolo 5 che cerca di cristallizzare in modo un po’ confuso il diritto all’oblio, concedendo all’interessato di ricorrere ai sensi dell’art. 14 del D.lgs. 70/03 al fine di ottenere dai motori di ricerca la cancellazione dell’informazione, ove il sito decida di non ottemperare alla richiesta. Forse l’unico elemento di rilievo è la formalizzazione della trasmissibilità delle facoltà di richiedere la rimozione del contenuto all’erede o al convivente in caso di morte dell’interessato.

L’articolo 6 tocca un tema centrale come quello della sensibilizzazione sull’uso critico dei media online attraverso la formazione nelle scuole. È, infatti, fondamentale partire dalla scuola primaria se si vuole che le nuove generazione abbiano un uso della Rete consapevole ed etico. Lascia, come sempre, perplessi che tale attività di sensibilizzazione debba essere fatta “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

L’articolo 7 prevede che “i gestori delle piattaforme informatiche siano tenuti ad effettuare un costante monitoraggio dei contenuti diffusi attraverso le stesse, con particolare riguardo ai contenuti verso i quali gli utenti manifestano un’attenzione diffusa ed improvvisa, per valutarne l’attendibilità e la veridicità”. Nel caso in cui non rimuovano tali contenuti sono soggetti alla sanzione di cui all’art. 656-bis del codice penale. Questo articolo, come si era detto all’inizio, non risolve il problema di quali siano i parametri per poter valutare o meno illecita una notizia e non considera il principio dell’assenza generale dell’obbligo di sorveglianza per gli hosting provider oramai consolidato dal 2003 con l’entrata in vigore del D.lgs. 70/03 in tema di commercio elettronico.

Forse, a tendere, il “Custodes” potrebbe venire individuato nella commissione di vigilanza RAI che in questo DDL ha il compito di monitorare che “gli standard editoriali delle piattaforme informatiche destinate alla pubblicazione e diffusione di informazione con mezzi telematici degli emittenti radiotelevisivi pubbliche, verificando la corrispondenza tra i livelli qualitativi offline e quelli online incentivando una particolare attenzione ai contenuti generati dagli utenti e adottando le deliberazioni necessarie all’osservanza di tale indirizzo”.

Speriamo proprio di no, ma sicuramente il livello qualitativo dell’informazione in Rete rappresenta il nostro futuro e non possiamo sottovalutare il dibattito in corso.

Il commento di Pickett

Per dare una valutazione sul contenuto del disegno di legge sulle fake news e, in generale, comunque, sulle notizie che ingenerano odio e violenza nella Rete, bisogna – a mio avviso – fare riferimento al quadro normativo e giurisprudenziale esistente “al netto” di tale nuova normativa. Soltanto così si potranno apprezzare le novità immaginate dal nostro legislatore al fine di limitare, o comunque reprimere, fenomeni che, se non arginati, potrebbero incidere in misura devastante sulla nostra convivenza civile e democratica.

Proviamo, quindi, a fare un ragionamento articolato sul nostro (sarebbe meglio riferirsi alla maggioranza di noi?) sentire in materia.

La libertà di espressione è la regola numero 1 in una democrazia.

Ma quando essa diventa inadeguata, denigratoria, addirittura diffamatoria, o peggio, manipolatrice dei cervelli di una nazione, bisogna porsi il tema di come rispettarla ma regolamentarla. Il punto di equilibrio è molto delicato perché è facilmente contaminabile nel senso della censura o della non repressione assoluta. Il Procuratore Generale della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, in un suo recente intervento istituzionale, ha sottolineato questo aspetto proprio per evidenziare la necessità, da un lato, del rispetto del principio costituzionale della libertà di espressione, ma anche, dall’altro, di approfondirne perimetro e monitoraggio.

La Rete ha amplificato il fenomeno rendendolo ancora più grave e delicato. La velocità di trasmissione dei dati, la posizione dei service provider di non considerarsi responsabili sui contenuti diffusi nella Rete, hanno creato una situazione simile a quella di un mondo di giornali, letti da tutti, che però non hanno né un editore né un direttore né un regime di responsabilità. In questo contesto, la notizia falsa, la bufala, la menzogna, diventano non un rischio gestibile ma una certezza ingestibile.

Nel nostro sistema normativo, al di là di una previsione specifica di reati contro un eccesso di libertà di espressione, si è consolidata una giurisprudenza sostanzialmente basata sui principi articolati nella famosa decisione della Cassazione del 1984, una sentenza denominata “decalogo”, proprio perché affrontando questo tema definiva i principi a cui i giudici avrebbero dovuto ispirarsi nella valutazione dei casi concreti. In breve, la ratio di tale decisione era che la libertà di espressione deve sempre essere bilanciata con il rispetto della reputazione e dell’onore del destinatario dei giudizi espressi. Quindi, sì alla critica ma sempre e soltanto se basata su fonti dichiarate e se, di per sé, attendibile. La Cassazione coniò il termine “continenza espressiva” che divenne poi il principio richiamato dalle corti di merito in questi oltre 30 anni. Per “continenza espressiva” si intende che il diritto ad esprimere le proprie opinioni non deve contenere ingiurie e invece deve sempre motivare il perché si critica un terzo o più terzi. Stesso ragionamento, la Cassazione lo sviluppò per la satira, che è lecita ma nei limiti del diritto di critica.

Come detto, la Cassazione italiana si è allineata a questo principio con degli ovvi up and down in funzione del contesto politico e mediatico degli ultimi 30 anni. È ovvio che il mondo del Web ha portato una vera e propria rivoluzione nelle modalità di espressione delle nostre idee: come detto, velocità di trasmissione dei dati e sostanziale irresponsabilità dei soggetti che se li scambiano stanno rischiando di creare un territorio come il Far West al tempo dei primi coloni e degli indiani. Pochi controlli, comunque in ritardo (la mitica figura dello sceriffo impotente di fronte alle bande rivali) e, in ogni caso, non efficaci di fronte all’imperversare degli illeciti.

C’è bisogno, quindi, di una maggiore intensità della tutela delle persone destinatarie di espressioni in qualche modo non riconducibili alla “continenza espressiva” di cui alla ratio della Cassazione del 1984. La Rete deve essere oggetto di una maggiore sorveglianza, tenendo conto anche delle difficoltà provenienti dalla sua non fisicità e non territorialità. Non esistono, per ora, filtri interni (i grandi player internazionali hanno iniziato a comunicare di voler avviare un processo di autodisciplina, ma siamo ancora alle dichiarazioni stampa e non a dei veri e propri comportamenti virtuosi), la posizione ufficiale delle media company è quella di non dichiararsi responsabili per i contenuti diffusi, non esistono autorità pubbliche sovranazionali con il ruolo e i poteri per vigilare nella Rete.

Che fare, dunque? Il DDL immaginato dai firmatari del nostro Parlamento si pone proprio il tema di incominciare a scrivere qualcosa, a fissare dei principi che rafforzino la normativa penale esistente e la ratio della giurisprudenza civile e penale consolidatasi sul punto. Non possiamo illuderci che l’effetto di tale norma potrà essere risolutivo, ma dobbiamo considerarlo un importante punto di partenza che se sarà associato ad una vera e propria autodisciplina dei grandi player internazionali (finalmente responsabilizzati nel loro ruolo di intermediari di tutte le miliardate di dati che ci scambiamo in ogni secondo della nostra vita che, non scordiamocelo, permette loro di chiudere dei bilanci annuali con rilevanti profitti proprio scaturenti dalla loro posizione dominante in questo mercato) potrà finalmente creare una griglia sia di norme pubbliche sia di norme autodisciplinari tali da reprimere fin sul nascere tutte le manifestazioni di pensiero mirate a creare l’odio o la violenza nelle nostre comunità anche attraverso la creazione di notizie false non controllate né controllabili.

 

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