Vi ripropongo un esercizio intellettuale stimolante.

Non andate subito a leggere in fondo a questo articolo il nome del personaggio. Seguite la scansione delle sue dichiarazioni e poi chiedetevi chi potrebbe essere l’essere umano che, in questo fine 2019, può aver socializzato con il mondo intero concetti di questo genere.

In ogni paese, in ogni contesto, è inevitabile che ci siano differenze di opinione. Ma queste differenze non sono una maledizione. Se siamo disposti ad ascoltare le opinioni degli altri in un dialogo di principi condivisi, le nostre differenze si rivelano una ricchezza, una benedizione. È nella battaglia delle idee che si forgiano le soluzioni ai problemi. La forza è nella cooperazione. Insieme, diventiamo più forti. Non c’è problema che non si possa risolvere restando uniti. L’atteggiamento di chi dice “preferisco morire piuttosto che vedere la sconfitta delle mie idee” finisce per distruggere le famiglie, figuriamoci i Paesi… al di là di ogni differenza l’unità nazionale è al primo posto. Ma l’unità non esclude il pluralismo. L’unità deve abbracciare le nostre diversità”.

E ancora…

La democrazia non è concepibile senza libertà. E la libertà non è un regalo concesso da un governo al popolo. È semmai un dono di natura che vale per tutti, in virtù della nostra dignità di esseri umani. È necessario rispettare tutti i diritti umani e democratici specialmente la libertà di espressione, di riunione e di organizzazione, partendo dal vincolo costituzionale che emerge dalla salvaguardia della libertà. In un sistema democratico, il governo permette ai cittadini di manifestare le proprie idee liberamente e senza paura. Il diritto delle persone alla libertà di movimento deve avere il sostegno forte e aperto delle istituzioni. È un diritto che va rispettato (e non certo ostacolato).

Il fondamento della pace è la giustizia. La pace non è assenza di conflitto. La pace è un’inviolabile casa comune, costruita sulle nostre convinzioni condivise e l’unica porta di accesso è il dialogo. È la fiducia reciproca. Il nostro viaggio insieme, che ci permette di appianare i conflitti in modo civile”.

Nello spirito che regna purtroppo in questo mondo, le parole che abbiamo letto suscitano una reazione forte. Una speranza mista ad un dubbio: è un classico “nice to do” o potrebbe essere un “nice what I did”?

In altre parole, siamo di fronte ad un uomo politico che lancia messaggi virtuosi, alti, belli, coraggiosi, fantastici da sentire ma difficili da applicare oppure siamo di fronte ad un giovane che ci sta trasferendo la sua visione del mondo oltre ad una sintesi di quello che ha già fatto proprio nel percorso complicato di ridare speranza, pace, coesione sociale agli esseri umani?

La risposta ce l’hanno fornita i membri del Comitato che assegna ogni anno a Stoccolma il premio Nobel per la Pace.

I concetti che vi ho scritto sono stati espressi da Abiy Ahmed, l’attuale premier dell’Etiopia che ha compiuto il miracolo di far terminare pacificamente una guerra che si trascinava da decenni tra il suo paese, l’Etiopia e la confinante l’Eritrea.

Non c’è più alcun confine tra Etiopia ed Eritrea – ha detto Abiy Ahmed Ali dopo la firma dell’accordo di pace con Asmara – perché un ponte d’amore lo ha distrutto”.

Il vincitore del prestigioso Premio Nobel per la Pace, la pace l’ha davvero “portata a casa”.

Ora si sta occupando d’impatto ambientale e sta dando segnali precisi all’Occidente su un’inversione di rotta del popolo africano riguardo alla sensibilità sulle tematiche “green”.

Gli stralci che ho riportato all’inizio di questo contributo, costituiscono la parte centrale del discorso di insediamento di Abiy Ahmed Ali al parlamento etiope nel 2018.

È la prima volta, e anche questo dato ci deve far riflettere, che un premier africano nel momento topico della sua carriera politica cita nel suo discorso la sua famiglia e loda la moglie quale pilastro centrale del suo successo.

Siamo di fronte ad una svolta culturale nel centro di quel continente complesso e contraddittorio che è l’Africa?

Ce lo dirà la cronaca dei prossimi mesi.

Certo che le parole del premier etiope ci scaldano il cuore, ci danno speranza, ci fanno tirare fuori dai cassetti i sogni di un mondo migliore.

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