La  sfida tra Orban e Morawiecki e l’Unione Europea si gioca miseramente sui soldi.

Apparentemente sull’applicazione o meno delle norme tipiche di uno stato di diritto (l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa, i diritti delle minoranze, ecc.) quale condizione essenziale per beneficiare dei fondi del Next Generation Fund.

In realtà Budapest e Varsavia puntano a due obiettivi: (i) all’archiviazione delle procedure avviate, ai sensi dell’art. 7, dal Parlamento Europeo per l’Ungheria e dalla Commissione Europea per la Polonia avviate proprio per le violazioni dello stato di diritto concretizzate dai due autocrati dell’est europeo; (ii) all’incrementare, se possibile, la loro dotazione dei fondi  in vista del riparto delle risorse proprio del Next Generation Fund.

Sembra una situazione surreale: un baratto irricevibile tra i fondamentali valori di riferimento dell’Unione Europea e le richieste inaccettabili formulate da due governi che hanno dato ampi esempi di un concetto di democrazia molto leggero e declinante verso la dittatura.

Purtroppo questa però è la fotografia che emerge in questi giorni da Bruxelles durante le accese e concitate negoziazioni in atto fra gli ambasciatori delle parti.

Non si parla tanto dei diritti, del rispetto delle libertà individuali e collettive dei popoli europei, ma di soldi.

Di quanti milioni di euro in più, Ungheria e Polonia, già grandi beneficiate delle provvidenze europee, cioè nostre, riusciranno a portare a casa dopo questo braccio di ferro clamoroso e pericoloso.

Ungheria e Polonia – ha sottolineato il commissario Paolo Gentiloni – saranno tra i primi beneficiari del Next Generation Fund, più di Italia e Spagna. Il beneficio netto per i due paesi Visegrad sarà pari al 3% del loro PIL mentre sarà pari al 2%, ad esempio, per l’Italia”.

Da fonti autorevoli di Bruxelles, mi si dice che l’accordo al 99% si troverà prima del Consiglio Europeo del 10-11 dicembre prossimo venturo.

In ogni caso, però, a causa di questo stallo, slitterà l’erogazione dei fondi.

Angela Merkel sta gestendo in prima persona la trattativa, anche se formalmente dietro le quinte.

E’ l’ultima sfida del suo semestre di presidenza e probabilmente della sua intera leadership europea: non vuole assolutamente perderla.

Vuole chiudere la sua carriera politica con un successo e ha messo sul tavolo quattro punti da negoziare con i due rappresentanti di Ungheria e Polonia.

Il primo punto riguarda una dichiarazione formale dell’Unione Europea per rassicurare Varsavia e Budapest che questa condizione posta ai beneficiari dei fondi europei non è concepita per colpire alcuni paesi in particolare e che non verrà mai utilizzata in maniera arbitraria.

Si sta lavorando ad una modifica legislativa che consisterebbe in questa novità: qualora un Paese si sentisse discriminato dalla decisione della Commissione, potrebbe chiedere il parere della Corte di Giustizia Europea.

Sempre all’interno di questa opzione, si sta approfondendo anche un’ulteriore ipotesi: che lo stato membro, che su proposta della Commissione sia sanzionato dal Consiglio che riscontra violazioni nell’applicazione dei principi fondamentali dello stato di diritto e perciò dispone il blocco delle erogazioni, possa impugnare tale decisione innanzi alla Corte di Giustizia.

Un secondo tema sul tavolo riguarda, come detto, la richiesta di archiviazione delle due procedure pendenti contro Ungheria e Polonia, proprio per le violazioni dello stato di diritto messe in atto negli anni scorsi.

Quale ultima ratio, la Merkel sta avvisando gli ambasciatori di Orban e Morawiecki riguardo alle conseguenze di un eventuale fallimento della trattativa.

Se infatti il bilancio europeo non fosse approvato entro dicembre, si entrerebbe nel cosiddetto “esercizio provvisorio”.

Ogni mese Bruxelles potrebbe spendere soltanto 1/12 del bilancio dell’esercizio 2020 e le spese sarebbero limitate ad alcuni capitoli.

Verrebbe quindi bloccata automaticamente l’erogazione di fondi di cui sia l’Ungheria sia la Polonia hanno un estremo bisogno anche per gestire le conseguenze della pandemia sanitaria e del conseguente disastro economico.

Orban ha già dichiarato la propria disponibilità a trattare: “Ci sono numerose soluzioni possibili – ha detto – è solo questione di volontà politica”.

Apparentemente sia lui sia Morawiecki chiedono che il meccanismo sullo stato di diritto si basi su una “certezza giuridica” non su discrezionali e politiche valutazioni della maggioranza dei paesi membri.

Anche Angela Merkel sembra ottimista: “Posso solo dire – ha detto la leader tedesca al termine della video conferenza con gli altri leader europei – che lavoreremo duro e seriamente. Vogliamo esaminare tutte le opzioni possibili, siamo solo all’inizio di una lunga trattativa”.

Interessante la chiosa di Orban al termine del video incontro con i colleghi, la scorsa settimana: “Le discussioni proseguiranno e alla fine arriveremo ad un accordo: è così che funzionano di solito queste cose”.

Il nodo della questione non sarà facile da sciogliere perché a Budapest e Varsavia non basta un contentino e l’Unione Europea non può cedere sul principio dello stato di diritto, almeno mi auguro!

L’auspicio è che Bruxelles, pur puntando ad una corretta e comprensibile transazione di questa criticità, non deroghi ai valori costituenti di questa Europa, già di per sé zoppicante.

Sarebbe una picconata irreversibile sul futuro della nostra tanto sognata Europa unita.

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