Il piano redatto da Mario Draghi ha scatenato, come era prevedibile, un serio e vivace dibattito tra le forze politiche degli Stati membri.
Il confronto è in corso tra coloro che vedono nel corposo documento del nostro ex Presidente del Consiglio un indice di interventi da effettuare per salvare la traballante Unione Europea e altre voci che invece contestano a Draghi di ipotizzare, nella sua “ricetta”, una nuova forma di “Debito Comune” assolutamente non accettabile.
Si va da slogan, soprattutto di leader italiani e di leader dei paesi “frugali” “no al Debito Comune” ad affermazioni come “solo con il Debito Comune si può rilanciare il progetto europeo” dei sostenitori della “dottrina Draghi”.
Abbiamo letto il corposo documento elaborato da Draghi con la classica tecnica utilizzata a livello internazionale dalle società di consulenza della business community: esposizione del problema, individuazione delle possibili soluzioni, rappresentazione di schemi e diagrammi per facilitare la lettura del documento e fotografare i trend delle varie questioni esaminate.
Il Rapporto parte da una lucida e spietata analisi del declino dell’Europa rispetto soprattutto a Stati Uniti e Cina: l’esempio più macroscopico è segnalato nella quota di prodotto interno lordo rispetto al Pil mondiale. L’Europa è scesa al 17% rispetto al 26% degli Stati Uniti.
La quota di partecipazione al commercio internazionale europea è oggi pari soltanto al 15% delle esportazioni e al 14% delle importazioni.
Il calo demografico produrrà poi una riduzione di milioni di lavoratori soltanto in parte compensabili con i migranti legali.
Per Draghi questo declino potrebbe ulteriormente peggiorare a causa dei conflitti in essere che potrebbero provocare un ulteriore crisi economica globale.
Un’altra conseguenza del terribile scenario con cui stiamo convivendo potrebbe essere rappresentata da un nuovo aumento dei costi dell’energia in un contesto in cui Bruxelles sta cercando di coniugare la necessaria e non rinviabile transizione green con la riduzione della dipendenza energetica da parte dai paesi produttori.
Cosa propone Draghi?
In estrema sintesi una strategia articolata su tre verticali, mirate a ridurre il ritardo tecnologico e sviluppare la digitalizzazione e le applicazioni dell’AI; a ridurre i costi dell’energia e infine ad invertenti per garantire la sicurezza sia militare sia economica dell’Europa con un aumento degli investimenti sulla difesa e una riduzione delle dipendenze strategiche.
Draghi, prevenendo quasi le critiche che gli sarebbero piovute addosso, precisa nel suo Rapporto che ci sono due condizioni essenziali perché si possa girare pagina e rilanciare l’Europa sulle tre assi sopra individuate.
La prima condizione è rappresentata dai costi necessari per dare attuazione agli interventi previsti; la seconda è costituita dalla revisione dei processi decisionali attualmente non efficienti e non competitivi.
Proprio sui costi, Draghi ha immaginato la necessità di finanziamenti aggiuntivi nell’ordine di 800 miliardi di euro all’anno, per cinque anni.
Secondo i critici, non ponendosi il problema del “Come” mobilitare questa enorme quantità di risorse!
Anche sulla riforma della governance della UE, Draghi è rimasto, pensiamo, volutamente vago.
Ha parlato della necessità di uno snellimento della regolamentazione, ad un aumento del numero delle decisioni da adottare a maggioranza qualificata e non all’unanimità.
Questo in estrema sintesi il “cuore” del Rapporto, oggetto del dibattito che sta trasversalmente caratterizzando il confronto politico e partitico in tutti gli Stati membri.
Crediamo valga la pena citare almeno tre delle questioni problematiche che sono al centro del confronto sul documento Draghi.
- Come si può immaginare che la leadership politica di Bruxelles, responsabile della politica europea degli ultimi anni e quindi di quel drammatico declino che abbiamo citato all’inizio di questo articolo, possa essere in condizione di gestire il rilancio. Ursula von der Leyen è riuscita a rimanere al comando e adesso dovrà dimostrare di saper cambiare registro e di imporsi in un consesso difficile, umorale, caratterizzato da profonde e diverse tesi sul futuro dell’Europa. Insomma ci vuole una leadership con una capacità di orchestrare il futuro molto più efficiente ed efficace di quella che abbiamo sotto gli occhi.
- I Paesi “frugali” (la Germania e l’Olanda per citare gli esempi più eclatanti) hanno già dichiarato la loro non condivisione del Rapporto: “Un programma neppure ipotizzabile: il rispetto dei vincoli di bilancio deve rimanere un aspetto rigido del sistema”. Inoltre hanno sottolineato come l’incarico a Draghi di redigere il Rapporto lo abbia conferito la Commissione Europea e non il Consiglio degli Stati, l’unico organo politico titolato a modificare eventualmente l’assetto istituzionale dell’Europa attuale.
- Infine, una considerazione apparentemente banale: chi pagherà i 4 mila miliardi di euro previsti per i prossimi cinque anni? Il confronto emerso in questi primi giorni successivi alla pubblicazione del documento dimostra come questo tema potrebbe costituire il grimaldello per svuotare di contenuto il pregevole lavoro di Mario Draghi.
I cittadini europei, invece di essere sostanzialmente indifferenti, dovrebbero seguire e vigilare attentamente sul dibattito in corso per capire prima e scegliere dopo che tipo di leadership politica rispetti davvero gli interessi di una Europa che voglia tornare a competere con i giganti americani e cinesi.