E nel Grande Gioco, quale sarà il ruolo dell’Unione Europea?

La domanda, apparentemente retorica (la risposta “nessuno”.. è sulle labbra di molti!) è di grande attualità.

“Questa settimana ascoltando i politici – ha dichiarato il Primo Ministro sloveno Tanja Fajon, al termine della cinque giorni di Davos – sono rimasta un po’ sorpresa. Ho l’impressione che nessuno abbia idea di dove stiamo andando o di quali possano essere le soluzioni”

Ci mancava solo il Qatargate per dare un’altra pesantissima picconata alla traballante Unione, già immersa in enormi problemi ad alto rischio di autoavviluppamento. Quindi di uno stallo sostanziale in un mondo che sta cambiando ogni giorno, rivoluzionando le vecchie geomappe e aprendo i giochi diplomatici e politici per le nuove geografie del mondo.

Quando, di fronte al movimentismo cinese, al pesante protezionismo americano, alla cocciuta e irreversibile mania imperiale di Putin, Bruxelles risponde soltanto con infinite riunioni istruttorie che culminano in vertici politici per lo più bloccati dal veto del “Pierino” di turno, il pessimismo non può che dilagare anche nelle menti più europeiste e legate al sogno di una Unione Federale degli Stati europei.

Come riuscire a non arrendersi di fronte a questo scenario che ci pone di fronte una deriva positiva soltanto per i sovranisti, legati agli interessi domestici e non a quelli sovranazionali?

Provando, per esempio, ad invertire il trend pessimistico, costruendo un progetto che, partendo dalla riforma della governance (soprattutto abolendo il “mostro” dell’unanimità) costruisca un modello di sviluppo nuovo, sostenibile, autonomo (anche dal punto di vista militare) per uscire da una sudditanza sia interna (ogni Stato membro, oggi, può bloccare qualsiasi decisione di Bruxelles), sia esterna (la dipendenza da Russia, USA e Cina non solo su alcune materie prime fondamentali, ma anche su linee di rifornimento di semi conduttori e componenti vari).

Certo, ci vorrebbe una leadership politica adeguata a questa ambiziosa e coraggiosa sfida che non può che scaturire da un “patto di sangue” tra gli Stati più grandi come Germania, Francia e Italia.

Macron e Draghi hanno lavorato parecchio su questo asse, tessendo una tela ramificata per ottenere i consensi necessari a questa importante e decisiva riforma.

La perdita al tavolo di negoziazione di Mario Draghi (molti qui a Bruxelles immaginano un rientro del nostro ex Presidente del Consiglio in un ruolo chiave di questo processo riformatore e resiliente) non ha aiutato i lavori.

L’auspicio è che il nuovo Ministro degli Esteri Tajani continui quel percorso che darebbe al nostro Paese una posizione cruciale nella costruzione della nuova governance europea.

Si è parlato di questo progetto in diversi convegni svoltisi in quasi tutti gli stati membri, soprattutto con riferimento a come valorizzare al meglio l’opportunità dei fondi del PNRR investiti anche in un’ottica europea da ciascuno Stato.

E’ interessante ripercorrere le tesi sviluppate da due autorevoli esperti della materia, l’americano Alec Ross, già consigliere per l’innovazione di Hilary Clinton quando era al vertice della Segreteria di Stato a Washington e oggi professore all’università di Bologna e la tedesca Isabella Weber, economista, specialista del mercato cinese, madrina del “tetto al prezzo del gas” faticosamente condiviso a livello europeo forse … un po’ tardi rispetto alle necessità.

Mentre gli interventi di Ross sono improntati soprattutto sul “Fare”, nel senso di smuovere le lentezze burocratiche e di velocizzare un preciso programma di rilancio dell’Unione Europea, le tesi della Weber sono basate su una parola di merkeliana memoria “Cautela”.

Stiamo vivendo un cambiamento totale dell’economia mondiale – ha dichiarato l’economista tedesca – come non la vedevamo da secoli e non è chiaro come affrontarlo, non ci sono risposte pronte. La cosa importante è agire con cautela… in un momento in cui i cambiamenti climatici, la pandemia e la guerra hanno sconvolto le tradizionali catene di rifornimento servirebbe un’azione congiunta per ripristinarle, ma a causa di una acuita rivalità tra USA e Cina, la cooperazione internazionale è sempre più difficile”.

Per Alec Ross: “L’Unione Europea ha bisogno di un modello specifico per affrontare la doppia transizione ecologica e digitale. Deve mettere in campo una sua squadra con una sua strategia, smettendo di fare da arbitro tra americani e cinesi perché alla fine l’arbitro non vince mai”.

Il professore americano è molto preoccupato dalle mire espansionistiche cinesi: “Pechino vorrebbe sostituire i G20 e i G8 con i … G0. In un mondo senza alleanze tradizionali, Pechino sarebbe libera di stringere gli accordi bilaterali che vuole e ottenere vantaggi. Lo sta già facendo con la Russia: gran parte di quello che Putin non riesce più ad esportare verso USA ed Europa, prende la via della Cina con uno sconto di almeno il 20%. E l’India e i paesi del Golfo seguono lo stesso schema”.

Il nodo centrale per l’economia mondiale sarà costituito dagli investimenti nella ricerca.

I fondi del PNRR, secondo Ross, costituiscono un’opportunità storica per arginare i cambiamenti climatici e costruire un’economia circolare: “Per l’Europa questi fondi sono l’opportunità per conquistare la leadership mondiale del green. Ne ha le competenze e la capacità innovativa. Ora deve metterci i soldi e orientare la propria politica al cambiamento, investendo in una propria ricerca autonoma”.

Secondo l’ex consulente di Hilary Clinton è paradossale che l’80% delle risorse umane che lavorano nella Silicon Valley siano di origine europea: “Vanno in America – ha scritto Ross – perché trovano terreno fertile: fondi a parte, la ricerca universitaria non è considerata patrimonio esclusivamente statale, ma ha connessioni fortissime con il mondo dell’impresa. Non c’è quel muro tra ricerca e commercializzazione che c’è qui in Italia o in Europa. Negli USA come in Cina la ricerca universitaria è alla base dell’economia. Non a caso Google è nato a Stanford. E poi sia in USA sia in Cina c’è una strategia politica che aiuta la nascita delle imprese, che ancora manca in Europa”.

Per Isabella Weber non sarà facile riorientare le catene di rifornimento verso il sud-est asiatico.  “La leadership tedesca è stata sicuramente miope nei confronti della Russia. Siamo stati incapaci a costruire in tempo una infrastruttura verde così da non trovarci oggi in recessione con il rischio di trascinarci dietro mezza Europa a causa del ricatto del gas di Putin”.

Quale potrebbe essere una soluzione per ovviare a queste criticità?

La soluzione deve passare per la nazionalizzazione di alcune aziende di interesse pubblico come hanno fatto in Francia nella costruzione di infrastrutture verdi che ci permettano di affrontare il cambiamento climatico”.

Alec Ross è molto critico verso le leadership europee: “Pigri! Gli europei sono stati pigri fino adesso! L’Europa non ha una sua indipendenza energetica a causa della pigrizia della sua classe politica”.

Proprio perché anche gli americani stanno concretizzando una nuova politica protezionistica: “Gli europei – sottolinea Ross – dovrebbero avere più coraggio nel costruire una propria risposta, esclusivamente nel loro interesse. Come dice Macron, non occorre rovesciare la globalizzazione a 180 gradi, ma bisogna avere più capacità interna e meno dipendenza dagli altri paesi”.

Ross è molto critico su tutta la politica economica tedesca degli ultimi vent’anni: “Merkel, con le sue interdipendenza con Russia e Cina è la leader più sopravalutata della storia dell’Europa. L’Europa oggi non può permettersi di seguire quel modello tedesco”.

Gli esperti dunque stimolano Bruxelles ad avviare una politica più eurocentrica, meno schiava delle forniture dagli altri grandi paesi.

I segnali che arrivano in queste ore dalla Commissione Europea non sono entusiasmanti: i membri dell’Unione Europea stanno infatti già litigando sul come dar vita ad un nuovo fondo per gli investimenti green.

Il teatrino continua: grandi progetti, grandi discussioni, grandi promesse, grandi scontri … un sostanziale stallo!

Tutti quelli che in Europa sognano ancora “un futuro europeo insieme” immaginano però un governo centrale a Bruxelles non caratterizzato dall’immobilismo tipico delle navi cisterna pesanti e lente che si girano con difficoltà e con tempi lunghi.

Ci vogliono, per continuare la metafora, navi più leggere, più flessibili, più pronte a far manovra in mezzo ad un mare tempestoso e imprevedibile.

Insomma, da Davos emerge un auspicio per il 2023: che l’Europa sia più agile nel rispondere alle opportunità che emergono dalla crisi che stiamo vivendo.

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