Trent’anni dopo!
Non fraintendetemi: non voglio emulare Dumas.
Mi interessa, in coincidenza con il 30° compleanno di internet, fare un punto della situazione sulla più rivoluzionaria innovazione nella storia dell’umanità.
Negli ultimi trent’anni sono mutate molte più cose rispetto a quelle accadute nei 20 secoli precedenti della nostra storia.
Con tutti i pregi e i difetti che si porta dietro una rivoluzione che, se mal gestita, potrebbe travolgere, in breve tempo, la nostra pacifica coesistenza di esseri umani.
Esagero?
Da Guttemberg in avanti si è sempre gridato al pericolo e alle insidie di fronte ad una innovazione industriale. Poi le cose si sono sempre sistemate.
Sì, certo, gli uomini e le donne hanno sempre reagito di fronte alle grandi scoperte con sentimenti di paura, preoccupazione, prudenza conservativa.
Il nuovo, l’ignoto, ha sempre spaventato i più.
Gli innovatori visionari, sempre una piccola minoranza, hanno saputo però vedere in anticipo i nuovi scenari, galoppando la novità e non cercando di evitarla.
Sarà così anche per la rivoluzione digitale?
Quando Tim Berners-Lee creò negli anni ’80 il World Wide Web facendo migrare dal mondo miliare a quello civile un sistema di comunicazioni assolutamente rivoluzionario rispetto a quelli conosciuti e usati fino a quel momento storico, le reazioni furono le più diverse.
Nessuno, salvo pochissimi geni lungimiranti, pensò di essere di fronte ad una scoperta che avrebbe profondamente inciso sulle nostre vite, sui nostri comportamenti, sulle relazioni tra gli esseri umani tra di loro e nei confronti dell’ambiente.
Mi interessa ricordare a tutti che l’allora giovane ricercatore di nome Tim, pur avendo scoperto e creato un’assoluta e geniale innovazione, non volle farla diventare una fonte di business personale.
Un modo per acquisire una meritoria rendita di posizione per il resto della sua vita.
Aveva potuto studiare e utilizzare un sistema di comunicazioni della Difesa americana, in un open space, diremmo oggi, e, per questo motivo, decise di “regalare” la sua scoperta all’umanità. Senza alcun corrispettivo. Che servisse per migliorare le nostre vite, la coesione delle nostre comunità, la conoscenza di noi tutti e la nostra capacità di valorizzare a fin di bene questo sistema rivoluzionario.
Nonostante questo incipit “no profit”, oggi, trent’anni dopo, quella scoperta donata al mondo da Tim Berners-Lee e dal suo team di ricercatori, ha dato vita al più grande e redditizio oligopolio mai visto nella storia dell’umanità.
Un vero e proprio trust formato da non più di 5 o 6 società (le cosiddette Over The Top) che stanno dominando e gestendo le nostre conoscenze, le nostre abitudini di acquisto, la nostra privacy (anche se sarebbe illegale!) accumulando profitti inimmaginabili.
In più, ottimizzando la pianificazione fiscale dei loro guadagni e pagando imposte sul loro reddito talmente risibili da apparire quasi provocatorie!
Compagnie multinazionali, per lo più americane, ormai in possesso di tali e tanti dati sulle nostre vite private (i cosiddetti Big Data) da poterci gestire e manipolare a loro piacimento.
Con un potere reale superiore agli stessi Stati nazionali e con una potenza di fuoco economico micidiale che ha ormai creato una barriera di accesso a quel mercato, incolmabile per possibili competitor.
Siamo di fronte, cari amici, ad uno scenario inquietante che, in pochi anni, ha stravolto le gerarchie mondiali.
Il mondo digitale ha una capacità di crescita e di creazione di ricchezza (per pochi!) che non è assolutamente paragonabile al mondo industriale e soprattutto manifatturiero tradizionale.
Se non facciamo attenzione e individuiamo in breve tempo dei rimedi, le vite dei nostri figli e dei nostri nipoti saranno nelle mani di pochi “eletti”, manovratori a 360° dell’enorme flusso di dati e informazioni che in ogni nano secondo ci scambiamo in tutto il mondo con i vari device a cui non possiamo più rinunciare.
Il dilemma è dunque come reagire.
Come rimettere “in riga” questi colossi che dominano i nostri sistemi politici ed economici muovendosi in un mondo, quello del web, ancora senza regole adeguate per imbrigliarli. Costringerli, insomma, ad essere disciplinati e a stare dentro il perimetro delle normative antitrust e della concorrenza.
Noi, in verità, stiamo “trastullandoci” in discussioni apparentemente virtuose ma sostanzialmente a vantaggio esclusivo delle Over The Top, che in questo modo guadagnano tempo, consolidano le loro posizioni e il loro potere, aumentano il “gap” ormai incolmabile per gli altri possibili competitor.
Possiamo accontentarci di dichiarazioni dei capi azienda di Google, Facebook, Amazon e altri che promettono un’auto disciplina, promossa e gestita da loro ovviamente, per mettere fine ai disastri, anche etici e culturali, di una Rete simile ad un Far West?
Parrebbe di rispondere immediatamente no, non può essere sufficiente.
“La buona notizia è che sono stati superati due dogmi dell’ideologia di Silicon Valley – scriveva recentemente sul Corriere della Sera, il prof. Giovanni Petruzzella, ex Garante della Concorrenza nel nostro Paese – (i) che internet non ha bisogno di regole e (ii) che per contrastare fake news e odio in rete sia sufficiente “affidarsi al libero mercato delle idee” e cioè alla capacità del singolo individuo di confrontare informazioni e idee diverse per formarsi un’opinione in un sistema dove la moneta buona finisce per scacciare quella cattiva… Emerge – sempre secondo Petruzzella – l’esigenza di introdurre regole e meccanismi in grado di fronteggiare questo strapotere. Già oggi queste regole esistono ma la loro applicazione è rimessa agli stessi operatori delle piattaforme che lo fanno seguendo i loro interessi commerciali. Il consumatore si sottopone a queste regole quando sottoscrive il contratto con la piattaforma”.
Petruzzella ci pone quindi una domanda centrale di questa problematica: “E’ accettabile questa privatizzazione del regime della libertà di informazione? Il quesito è ancora più importante se si tiene conto che alcune di queste piattaforme sono divenute i “gatekeepers” dell’informazione sul web perché per rendere fruibile l’oceano di informazioni esistenti dobbiamo necessariamente affidarci ai servizi di motori di ricerca e social network, i cui algoritmi stabiliscono quale informazione dobbiamo ricevere e secondo quale ordine”.
Secondo Petruzzella l’unica soluzione efficace è costituita da un riappropriarsi da parte degli Stati nazionali del loro potere di regolamentare il settore: “Alcuni Stati – concludeva Petruzzella – come la Francia e la Germania, hanno rivendicato il ruolo dei Parlamenti, approvando leggi dirette a contrastare le false informazioni e i discorsi d’odio, suscitando però il timore che, seguendo questa via, si introduca una forma di censura (il bavaglio alla rete)”.
Preoccupazioni che, secondo l’ex Garante, sono da tenere in considerazione ma ricordandoci che un altro valore da proteggere e tutelare è quello di evitare a tutti i costi di essere sottoposti a una “censura privata” come quella attualmente gestita dai giganti del web.

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