Ha compiuto in questi giorni 97 anni.

77 vissuti nel tragico e passionale ‘900.

20 nel III millennio.

Una vita dedicata a Dio, alla Chiesa, al Prossimo.

E’ stato per 33 anni vescovo di Ivrea: il “pastore” della città di Adriano Olivetti, di un’azienda che ha rappresentato nel dopoguerra italiano un modello peculiare nel mondo del capitalismo speculativo.

Ha conosciuto 8 papi e, senza mai dirlo o scriverlo, si è immedesimato con più facilità e naturalezza nel verbo e nelle condotte di Papa Giovanni XXIII e di Papa Francesco.

E’ stato per 17 anni presidente della Pax Christi.

E’ stato insignito dall’Unesco del premio per la Pace nel mondo.

Monsignor Luigi Bettazzi, da Treviso, festeggia con la sua innata sobrietà il suo genetliaco, ad Albiano, vicino ad Ivrea.

Vive in un piccolo appartamento nel castello del paese di Albiano, sulle pendici della serra morenica, in una residenza della curia eporediese.

Legge quattro quotidiani tutte le mattine: si tiene, insomma, aggiornato e scrive, scrive tanto, perché scrivere è la sua passione: “Un medico – ha recentemente spiegato – ha consigliato a mio cugino, che se vuole rimanere vigile con la mente, di pubblicare un libro l’anno. Io seguo il consiglio”.

Il volume che reputa più importante della sua collezione personale è quello che scrisse sul Concilio Vaticano II, pubblicato lo scorso anno su “Una tappa fondamentale della storia della Chiesa Cattolica moderna”.

Nel 2020 ha fatto uscire “Aprirsi agli altri, aprirsi a Dio” un percorso fra ragione e intelligenza, fra i ricchi e i poveri, tra il fascismo, la libertà e la sessualità.

Sta finendo il volume del prossimo anno con un titolo che dà la cifra della sua vita di vescovo “mancino”, di un sacerdote sempre dalla parte dei deboli, dei poveri, degli oppressi. Punto di riferimento del pensiero di una nostra sinistra operaista.

Il libro si chiamerà “Le mie eresie” o forse “quali eresie”: una rivisitazione dei suoi 70 anni di prete da marciapiede.

La contaminazione con Adriano Olivetti è stata virtuosa e reciproca.

Un laboratorio di idee su come la fabbrica potesse diventare il simbolo di una coesione costruttiva tra capitale e forza lavoro, fra capitalismo e comunismo, con la chiesa cattolica a guidare il gregge delle sue pecore.

Monsignor Bettazzi trasmette serenità, visione, mai presunzione o posizioni fondamentaliste.

Crede nell’uomo che si apre agli altri.

Che non si chiude nel miope egoismo: “Dobbiamo abbandonare molte abitudini che definiamo tradizioni – scrive nel suo ultimo libro – si tratta di aprirsi, di rinnovare noi stessi per rinnovare il mondo”.

Gian Luca Favetto, di Repubblica, è andato a trovarlo ad Albiano e dalla sua intervista con Bettazzi, ho estrapolato alcuni temi, alcuni titoli sul pensiero di un uomo saggio, illuminato dalla fede, testimone vivente di come si possa, volendolo, rompere i pregiudizi e costruire un nuovo senso allo stare insieme in modo pacifico.

Vi riporto quindi le sue parole su alcune questioni chiave di questa nostra tormentata attualità.

Pandemia: “La pandemia fa paura. Ma é in momenti come questi che ti accorgi che sei insieme agli altri e partecipi alle loro sofferenze. Sei interdipendente. Tocchi con mano la generosità di medici e infermieri. Da qui puoi partire per aprirti agli altri. Chi crede sarà salvo. Credere in qualcosa che è al di fuori di te è importante: credere nei valori e negli altri.  Cioè, uscire da sé: uscire verso l’alto, verso i valori; e uscire anche in orizzontale, verso gli altri”.

Torino: Pur tra mille difficoltà, trovo che la città sia attenta e accogliente. Confido nella tradizionale concretezza e saggezza della sua gente: quanto più saprà essere unita nelle scelte fondamentali, pur nella diversità di prospettive, potrà guardare all’avvenire con fiducia”.

L’Italia: “Il buon Salvini, che sbandiera i segni religiosi e poi è tutto chiuso, non va. Se c’è una cosa contraria al cristianesimo è proclamare: prima noi! Non dico di dire: “prima gli ultimi”! un principio da eroi cristiani. Basterebbe amare il prossimo come se stessi, ecco.  Mi verrebbe da dire che oggi c’è bisogno di una sinistra che faccia la sinistra”.

L’Europa: Purtroppo in Europa si sviluppano ragionamenti che non uniscono ma dividono: l’altro è diverso da me e lo cancello. Dovremmo cominciare da cosa ci unisce, ecco la convivialità delle differenze”.

La pace: “La pace è proprio la convivialità delle differenze, come diceva Don Tonino Bello. Si pensa che le differenze provochino le guerre, invece bisogna capire che arricchiscono: io ho delle cose che tu non hai, tu hai delle cose che io non ho. I grandi nemici della pace sono il diritto di veto all’Onu di Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Russia e Cina. Finché sarà così nel consesso delle nazioni, non ci sarà vera giustizia e vera pace. Capisco che pur avendo un voto ciascuno, gli Stati Uniti siano più importanti di San Marino, ma si metta allora una maggioranza qualificata, non l’unanimità per prendere le decisioni”.

Il vescovo mancino: Questo è il titolo della biografia uscita nel 2016 quando citai Papa Giovanni: “Una volta disse “capisco che quelli di destra facciano i loro interessi, ma la Bibbia, soprattutto il Vangelo, sono di sinistra, nel senso che pensano agli altri”.  Delle tre parole della Rivoluzione Francese, la destra insiste su libertà, la sinistra su uguaglianza. Ma perché libertà e uguaglianza siano vere, occorre che la fraternità le unisca e le tenga insieme”.

La chiesa dei poveri: “Bisogna partire dai poveri per arrivare a tutti. Se cominci dai borghesi, metà del mondo rimane fuori. E non si tratta solo di dare ai poveri, ma di ricevere da loro che cos’è veramente l’umanità”.

I “suoi” 8 papi: “Francesco non cita quasi mai il Concilio, ma lo mette in pratica: la sinodalità, cioè la collegialità, il Papa dice l’ultima parola ma dopo aver ascoltato la voce del popolo di Dio”.

Una ventata di aria pura nella nostra difficile quotidianità: grazie Monsignor Bettazzi.

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