I vecchi saggi ci hanno sempre consigliato di valorizzare le esperienze negative.

Di non limitarsi a rimuoverle ma di analizzarle per capire gli errori, le ragioni originarie, le responsabilità dell’insuccesso.

La storia, lo ripetiamo spesso, non è magistra vitae.

Conoscere la storia, però, aiuta a gestire meglio il presente e a programmare in modo più lucido il futuro.

In un momento storico, come quello che stiamo vivendo, in cui aumenta la voglia di cambiamento vero e sostanziale delle regole del gioco di quel capitalismo speculativo e finanziario che ci ha rovinato la vita e aumentato le disuguaglianze, rendendo difficile e conflittuale la nostra coesione sociale, il dibattito si fa più serrato: le leadership politiche non si possono più sottrarre alla pressione di giustizia sociale e di sostenibilità ambientale che viene dalla Gente, con la G maiuscola.

Questa testata sta cercando di contribuire a questo cantiere di riflessioni e proposte, individuando dei contenuti riformisti che possano sollecitare ulteriori elaborazioni e confronti tra gli stakeholder.

Anche quando (chissà quando?) saremo tutti vaccinati, dovremo comunque abituarci ad una Nuova Normalità.

Abbiamo alterato e distrutto l’ecosistema ambientale e, come ci ha insegnato David Quammen, dovremo convivere ancora per decenni con sempre nuovi virus originati da animali costretti a migrare dai loro siti abituali.

Proprio ieri, la giovane 92enne Luciana Castellina, dichiarava alla stampa: “Secondo me le classi dirigenti non hanno capito la drammaticità della situazione. Finito il Covid, e speriamo accada presto grazie ai vaccini, arriveranno altri virus e altre pandemie. E la Terra malata, che noi abbiamo fatto ammalare, che provoca epidemie una dopo l’altra. Se non si mette in modo lo sviluppo sostenibile, usando materiali non dannosi per produrre i beni di cui abbiamo bisogno, non riusciremo a garantie la salute, l’occupazione e tanto meno l’uguaglianza”.

A maggior ragione, i governi del mondo, non potranno più ignorare l’importanza di una vera e costruttiva politica di rispetto della natura e del nostro amato e bistrattato pianeta.

Proprio nell’ambito di questo dibattito che ormai, per fortuna, rientra nel vocabolario delle nuove politiche del Villagio Globale, abbiamo estrapolato tre recentissimi interventi.

Tre angoli di visuale diversi che ci aiutano a ragionare, ad avere più dati e informazioni su cui riflettere per capire quale sia la strada più giusta da imboccare.

Quali sacrifici, soprattutto, siano doverosamente da affrontare in vista però di traguardi chiari, possibili e non velleitari. Raggiungibili, cioè, e non tipici di altri, generici Libri Bianchi sul nostro futuro, finiti, quasi sempre, in soffitta tra le ragnatele e la polvere … nell’oblio più assoluto!

Abbiamo letto, a questo proposito, l’ultimo rapporto dell’Istat con un quadro agghiacciante sul come il nostro Paese stia cercando di sopravvivere alla pandemia, con quali costi in termini sociali ed economici e con quali prospettive.

Abbiamo, poi, stralciato alcuni passaggi dell’ultimo libro-intervista di Papa Francesco, scritto con il vaticanista de La Stampa Domenico Agasso (Piemme-Lev, 2021).

Abbiamo, infine, fatto una sintesi di un lungo e ragionato studio di Antonio Preiti (L’Inkiesta) sulle potenzialità di un nuovo liberalismo che sappia tesaurizzare i disastri del modello economico neo-liberista  degli ultimi vent’anni, puntando ad una autoriforma gestita e mirata ad una maggiore giustizia sociale nel rispetto rigoroso dell’ambiente in cui viviamo.

Tre angoli di lettura della nostra complessa e contraddittoria realtà odierna, che, siamo convinti, ci aiuteranno a capire come e a quali condizioni il Next Generation UE dovrà essere, dal nostro Governo, concepito, proposto e valorizzato.

Non sprecato o, comunque, percepito come un “reddito di cittadinanza europea” per sopravvivere e non, invece, per riformare e reinventarsi finalmente il nostro modello di economia politica.

La fotografia dell’Istat

L’ultimo rapporto Istat, uscito in questi giorni sul tema del “benessere equo e solidale” approfondisce 152 indicatori mirati a fotografare lo stato dell’Italia.

Il documento fornisce una disastrosa fotografia del nostro Paese che tende sempre di più ad allontanarsi dagli standard europei.

Il gap crescente con l’Europa – ha scritto il presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo – sull’istruzione purtroppo va letto insieme alla crescita di un altro indicatore negativo: aumentano i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, i cosiddetti “neet” che sono passati dal 23,9% nel II trimestre 2020 contro il 21,2% dello stesso periodo del 2019. Specie nelle regioni del centro-nord, la ricerca stessa di lavoro ha subito una brusca interruzione. E’ un segno di debolezza del sistema. C’è un forte calo anche del numero di occupati: 788 mila in meno, tra i 20-64 anni rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Aumenta la povertà. L’area del disagio si è allargata di un milione di persone pari a 300 mila famiglie. Ormai si contano 5,6 milioni di poveri assoluti”.

Nel documento dell’Istat c’è anche, fortunatamente, qualche segnale di speranza.

Aumenta la percezione di sicurezza. Diminuisce la quota di famiglie che considerano la zona in cui vivono molto o abbastanza a rischio di criminalità: solo il 22,6% rispetto al 25,6% dell’anno precedente. Il 45% degli italiani si dice più che soddisfatto della sua vita. C’è più attenzione alla vita politica, non fosse altro perché si vuole capire cosa stia succedendo e quali decisioni vengano prese per contrastare la pandemia”.

“Dio e il mondo che verrà”: il pensiero di Francesco

Abbiamo stralciato, come detto, alcuni passaggi dell’ultima fatica letteraria del nostro Pontefice, dal titolo “Dio e il mondo che verrà”.

Alcuni commentatori, provocatoriamente, sostengono che Papa Francesco sia l’unico leader mondiale ad avere una visione e a fare politica, quella alta e bella.

Leggendo questi passaggi ne troviamo, a nostro avviso, una concreta e lampante conferma.

Nessuno oggi può permettersi di stare tranquilloha risposto il Papa ad un quesito del giornalista Agasso sulla lettura di questo nostro tragico 2020 il mondo non sarà più come prima ma proprio dentro questa calamità vanno colti quei segni che possono rivelarsi cardini della ricostruzione. Non bastano gli interventi per risolvere le emergenze. La pandemia è un segnale di allarme su cui l’uomo è costretto a riflettere. Questo tempo di prova può così diventare tempo di scelte sagge e lungimiranti per il bene dell’umanità, di tutta l’umanità”.

Alla domanda del giornalista su quali siano le più importanti urgenze umanitarie, il Papa ha risposto: “Non possiamo più accettare inerti le disuguaglianze e i dissesti nell’ambiente. La via per la salvezza dell’umanità passa attraverso il ripensamento di un nuovo modello di sviluppo, che ponga come indiscutibile la convivenza tra i popoli in armonia con il Creato. Consapevoli che ogni azione individuale non resta isolata, nel bene o nel male, ma ha conseguenze per gli altri, perché tutto è connesso. Tutto!”.

Cambiando gli stili di vita che costringono milioni di persone, soprattutto bambini, alla morsa della fame, potremmo condurre un’esistenza più austera che renderebbe possibile una ripartizione equa delle risorse. Non significa diminuire diritti ad alcuni per una equiparazione verso il basso, ma dare maggiori e più ampi diritti a coloro ai quali non vengono riconosciuti e tutelati”.

E’ molto interessante anche il giudizio del Pontefice sulla finanza e sul mondo dei finanzieri.

Credo che se si riuscirà a sanarla dalla mentalità speculativa dominante e ristabilirla come un’ “anima” secondo criteri di equità, si potrà intanto puntare all’obiettivo di ridurre il divario tra chi ha accesso al credito e chi no. Nello stato in cui versa l’umanità diventa scandaloso finanziare ancora industrie che non contribuiscono all’inclusione degli esclusi e alla promozione degli ultimi e che penalizzano il bene comune inquinando il Creato. Sono i quattro criteri per scegliere quali imprese sostenere: inclusione degli esclusi, promozione degli ultimi, Bene Comune e cura del Creato”.

Il Papa dopo aver sottolineato l’importanza che l’uomo sia capace e desideroso di sapere, di lavorare e di amare il prossimo ha così concluso il suo confronto con il giornalista Agasso: “Perciò anche se la notte sembra non abbia fine, non bisogna perdersi d’animo. E, come diceva san Filippo Neri, non dimenticare di essere allegri, il più possibile”.

Il liberalismo “aperto” e autogenerativo di Antonio Preiti.

Secondo l’autorevole professore, la causa originaria della crisi degli ultimi trent’anni va ricercata al principio degli anni ’90, quando cominciò “l’età dell’oro” del neo liberismo.

Preiti riconduce all’elezione di Bill Clinton alla presidenza degli Stati Uniti (20 gennaio 1993) l’origine di tutti i mali successivi.

In particolare, la sottoscrizione, nel 1999, del Financial Modernization Act con cui venne abolita la separazione tra banche commerciali e banche di investimento. Separazione che era stata decretata nel 1933 dopo la grande depressione successiva alla crisi del 1929.

L’amministrazione Clinton incoraggiò così la formazione di grandi concentrazioni di banche, finanziarie e assicurazioni che avrebbero portato alla grande crisi del 2007.

Il secondo atto, decisivo per scatenare le crisi causate dal neo liberismo, fu l’ingresso, nel 2001, della Cina nell’Organizzazione  Mondiale del Commercio (WTO).

In quel momento nacque la globalizzazione, il fenomeno economico e culturale che ha contraddistinto le prime due decadi di questo terzo millennio.

La rivoluzione in corso è quella tecnologica, basata sulla automazione, divenuta la cifra del Villaggio Globale.

L’immagine è quella di un mondo raffigurato come una superficie liscia, senza confini, senza consolidamento storico, senza culture proprie.

Ogni confine è concepito come un residuo di un mondo fatto di nazioni, che non esiste più.

Ogni sedimentazione storica è letta come un fardello da cui liberarsi al più presto.

Il mondo , secondo questo approccio, deve tendere ad essere tutto uguale e ogni cultura religiosa è vista come arretratezza o peggio come oscurantismo da far scomparire all’insegna della razionalità.

La globalizzazione, inoltre, ha creato dei poteri senza sovranità.

I big player digitali oggi possono decidere chi ha il diritto di parola su internet e sui social media.

Possono modellare i comportamenti collettivi sottraendo sovranità agli stati.

Preiti sottolinea che questa pericolosissima deriva oligopolista ha per fortuna trovato un primo freno in Europa, proprio lo scorso anno, quando l’Unione Europea promulgò il Digital Service Act.

Un segnale di volontà di arginare lo strapotere dei big player digitali ormai più importanti della stragrande maggioranza degli stati del pianeta.

Non c’è più spazio né per un liberismo puro né tanto meno c’è spazio, per Preiti, per una nuova ondata di statalizzazioni.

Esiste uno spazio per qualcosa di nuovo i cui contorni teorici e normativi, sono ancora tutti da scrivere.

“Il liberalismo, in qualunque versione, è sempre un pensiero aperto, non un sistema chiuso di slogan o di concezioni preconfezionate: ha la sua grande ispirazione politica e morale che consiste nel credo assoluto verso la libertà come valore distintivo dell’umanità; l’irriducibilità della persona a qualunque altra entità collettiva; la possibilità che ognuno in piena autonomia sia, per quanto può, fabbro della propria vita”.

Preiti conclude così la sua analisi: “Il liberalismo vuole assicurare a tutti uguali condizioni di partenza, idea che si rispecchia anche nella nostra Costituzione all’art. 3. Dobbiamo domandarci se nel nostro Paese, oggi, non esista e nel caso rimuovere, un blocco che impedisce la mobilità sociale, l’ascesa di nuove classi dirigenti e il libero sviluppo delle aspirazioni personali”.

In questa idea di un liberalismo “aperto” che accoglie in sé le buone istituzioni dei moderati e, nello stesso tempo, mantiene le buone idee del socialismo democratico, c’è la nuova cultura politica del Paese, sintetizzata nel governo Draghi. Queste due anime, e la loro fusione, costituiscono il meglio che l’occidente abbia saputo costruire sul piano delle idee e il meglio che l’occidente abbia saputo dare al resto del mondo.

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