Intendiamoci subito: Pickett ritiene offensivo, per la nostra dignità di esseri umani, l’essersi adeguati culturalmente e psicologicamente a due fenomeni imperanti in questa nostra faticosa quotidianità. Due fenomeni di violenza animalesca, rintracciabili daltronde fin dai primordi della nostra società, che scansionano ormai con cadenza quotidiana la nostra cronaca. Parliamo ovviamente di Bullismo e Femminicidio, evidenziando con la lettera maiuscola le due declinazioni di questi misfatti inqualificabili per sottolinearne da un lato l’allarme sociale, dall’altro la necessita’ di una autocritica forte, cinica e proattiva da parte di ciascuno di noi.
Difficile sbrogliare la matassa. Tutti i giorni siamo bombardati da notizie di violenze perpetrate ai danni di parti più deboli, non necessariamente per questioni di genere ( l’ultimo drammatico episodio conosciuto è di ieri a Mugnano, nei pressi di Napoli: un ragazzino picchiato a sangue da un branco di coetanei senza alcun apparente motivo con il padre che ha denunciato l’accaduto e ha postato su Facebook la foto del viso tumefatto del figlio). Ascoltiamo e leggiamo commenti, analisi sociologiche, ragionamenti giuridici, testimonianze di vittime e carnefici. Concentriamo la nostra attenzione per qualche minuto, esprimiamo, anche nel silenzio, la nostra condanna, il nostro istintivo rifiuto ad espressioni di violenza apparemtemente inaccettabili in una collettivita’ civile come quella che riteniamo di vivere. Poi… poi giriamo pagina e andiamo oltre. Riprendiamo la nostra vita quotidiana rimettendo in pista comportamenti e azioni, a volte, magari solo per superficialità, non per dolo, che costituiscono mattoncini per la costruzione dei nuovi ” mostri” del terzo millenio.
In più in una società in cui l’aggressività sembra diventata la cifra del nostro stare insieme. L’unica modalita’ possibile per interfacciarci con l’Altro. Con tutti i media, chi più chi meno, che ci offrono spunti e stimoli per consolidare tale comportamento come vincente e da perseguire. Un disastro culturale ed educativo.
Perchè questa affermazione forte, provocatoria, sicuramente rifiutata come oltraggiosa da parte della maggioranza di noi?
Perchè, proprio qui, in questo momento psicologico di fotografia del cosa mi sta accadendo intorno, scattano dei circuiti celebrali che danno vita a tanti micro episodi che portano da un lato all’assuefazione pigra e non reattiva: alla quasi presa d’atto della irreversibilità di certi eventi. Dall’altro al ritorno al nostro quotidiano, in astratto ben diverso da quei terribili episodi di violenza, quindi al nostro ruolo di genitori, professionisti, imprenditori, la presunta classe dirigente, almeno dal punto di vista della responsabilità formativa.
La combinazione dei due aspetti crea una situazione paradossale, ad avviso di Pickett pericolosa e educativamente devastante: quando dovesse succedermi di essere protagonista o comunque parte di una comunità, famigliare e non solo, in cui un membro si e’ macchiato di un atto di bullismo o, peggio, di femminicidio, inizio a traccheggiare. A cercare delle differenze… reali o verosimili. La condanna dichiarata si mitiga in un “verifichiamo bene l’accaduto”, ” beh pero’ la vittima un po’ se le cercata”, ” orsù sono ragazzi, certe cose sono sempre successe!”. Insomma quella posizione arcigna, gridata, di forte contrapposizione ad ogni comportamento violento sintetizzabile in un sopruso, piu’ o meno grave, perpetrato contro un soggetto più debole, si annacqua, si riduce, si contamina con la relazione esistente con il carnefice o comunque con il presunto responsabile.
E allora proviamo ad iniziare proprio di qui a sbrogliare la matassa di un delicatissimo passaggio relativo alla coesistenza tra umanoidi: la difesa e protezione giuridica delle parti più deboli, fisicamente o psicologicamente, contro i soprusi dei più forti, dei più violenti.
Se e’ vero, e Pickett a riguardo non nutre grandi perplessità, che la stragrande maggioranza di Noi ha introitato la cultura della non violenza, della tutela dei meno forti, della repressione senza Se e senza Ma di ogni forma di angheria o sopruso verso i piu deboli, ebbene allora facciamo tutti un esperimento: restringiamo tali principi al nostro microcosmo famigliare, al nostro circuito affettivo piu sentito e piu’ vero. Proviamo a ragionare se, all’interno del “cerchio magico” dei nostri affetti più cari, noi ci comporteremmo in modo correlato alla filosofia della non violenza dei forti contro i deboli. Se, davvero, saremmo in grado di non difendere nostro figlio “a prescindere”, a non cercare pietose giustificazioni ad una sua partecipazione ad un episodio di violenza collettiva più o meno grave ,più’ o meno tragico!
Qui sta il nucleo del problema: il tema educazionale!
L’importanza di dire dei NO!
Aggiungiamo noi, dei No motivati, dei No argomentati, non perentori, a rischio di facili e comprensibili reazioni uguali e contrarie. Fernando Savater ci aveva gia’ ammonito qualche anno fa – 1991, ” Etica per un figlio” – sulle delicatezza di avviare i nostri figli alla vita in modo virtuoso, con l’esempio dei comportamenti non solo con le parole gridate ma non sentite fino in fondo. L’importanza di alcuni NO motivati e costruttivi rispetto alla facile indolenza di SI, figli di alibi legati ad assenze o non volgie di attenzione. La responsabilità di noi genitori a non lasciarci andare per mancanza di tempo, di voglia, di attenzione, a pretendere dai nostri ragazzi, soprattutto maschi, il rispetto degli altri, la resistenza contro la facile deriva della derisione dei più deboli, della violenza da bulli, in branco, nei confronti di compagni di scuola o di vita meno fortunati o meno forti. Il tutto da leggersi nello storico confronto competitivo di chi sia “il più forte del villaggio”!
Certo, il nonnismo durante la “naia”, gli scherzi, piu’ o meno pesanti, durante la convivenza scolastica, ci sono sempre stati. Ma non per questo devono essere giustificati e in fondo assolti con un sorriso, a volte, addirittura di compiacimento. Bisogna partire da li, dalla condanna forte e sentita, che certe cose non vanno fatte e, se accadono, provocano irreversibilmente punizioni esemplari. Deterrenti per chi faccia fatica a comprenrne la giustificazione.
La Rete, il mondo rutilante del Web, ha fatto esplodere il fenomeno. Ha allargato i confini, ha permesso a tutti, dietro l’anonimato del proprio device, di concedersi forme di violenza psicologica, inimmaginabili fino a qualche anno fa. Assistiamo a tragedie immani  di ragazzi e ragazze che si tolgono la vita stremati dall’essere diventati, loro malgrado, attori di una tragedia condita di insulti, immagini, comportamenti mirati a distruggerli come reputazione, dignità, orgoglio di esserci.
Non possiamo però arrenderci a questa situazione. Non possiamo inpigrirci su concetti che danno quasi per scontato che questo sia il prezzo che la nostra società, i nostri figli e nipoti, debbano pagare a fronte della straordinaria opportunità di conoscenza fornita da Internet. Pregi e difetti di una rivoluzione tecnologica che comunque va avanti.
No, non possiamo! Anche perchè non è vero! Più volte in passato Pickett si e dilungato nell’immaginare l’inserimento nei programmi scolastici di una nuova materia: l’educazione digitale. Una forma di trasferimento delle grandi opportunità di apprendimento che la Rete ci offre ma anche e soprattutto una modalità formativa che permetta alle nuove generazioni di inpossessarsi dei filtri necessari per discernere il giusto dallo sbagliato, il positivo dal negativo. Di non fare diventare la Rete, di per tecnicamente amorale, uno strumento di gogna e di violenza da risvoltare sugli altri, sui più deboli.
Dobbiamo ripartire di lì, dai fondamentali.
La responsabilità dei genitori basata sulla consapevolezza della difficoltà di formare i propri ragazzi in una società molto tecnologicizzata ma proprio per questo, come non mai, bisognosa della saggezza, presenza costante, attenzione selettiva degli educatori. Responsabilità fondata sul dovere, non solo sul diritto, di dire dei No sentiti, ragionati, spiegati all’interlocutore.
Le leggi in materia ci sono, sono anche state recentemente attualizzate allo spinoso contesto della Rete. Ma le gambe per farle camminare e diventare efficaci sono quelle dei genitori, degli educatori, di tutti coloro che hanno la responsabilità di dare l’esempio sul cosa si dovrebbe fare e sul cosa bisogna, a tutti i costi, evitare di fare.
L’esecutività delle pene è un altro argomento chiave: chi e’ condannato per bullismo o femminicidio deve scontare la pena e non poter fruire, a causa di inefficienze dell’azienda giustizia, di deroghe, scorciatoie che gli permettano di tornare a compiere gli stessi terribili reati irridendosi delle vittime e delle proprie colpe.
Non e’ una battaglia persa. È una battaglia complicata perchè va a toccare “pezzi” insiti nella natura umana: la violenza, la voglia di primeggiare, il senso di proprietà degli uomini nei confronti delle donne. Ma proprio per questo il ruolo degli educatori, dai  genitori in primis ai maestri e agli altri formatori poi, diventa cruciale.
La violenza sia fisica sia psicologica non va sdoganata come ineluttabile. Va combattuta, condannata, repressa, giorno per giorno. Con Internet il problema e’ diventato ancora piu’ delicato e complesso, ma non per questo non affrontabile.
Dobbiamo esserne coscienti e non abdicare alle nostre responsabilità. Genitori significa educatori non ” difensori d’ufficio” dei nostri ragazzi.

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