Invece di avvilupparci nella nostra coperta di Linus, autoassolvendoci ogni volta e “strappandoci le vesti” ad ogni, ennesimo, femminicidio o per un atto di violenza su un più debole, dovremmo riflettere a lungo su un recente episodio che mi ha raccontato un alto funzionario della nostra Polizia di Stato. Un episodio che aveva già avuto negli ultimi due anni alcuni precedenti virtuosi purtroppo rimasti miseramente dei “casi isolati”.

Di cosa stiamo parlando?

Di un modello di condotta da adottarsi sia da parte di tutti i soggetti (donne e bambini soprattutto) potenzialmente vittime di violenze da parte di uomini, anche, spesso, famigliari. Sia da parte, soprattutto, degli uomini delle forze dell’ordine, con particolare riferimento a coloro che svolgono un ruolo fondamentale, “in trincea”, nel ricevimento delle telefonate, normalmente disperate, delle vittime del carnefice di turno. Leggiamo insieme la narrazione dell’episodio, sviluppando poi alcune riflessioni sulla sua valorizzazione prospettica.

“PRONTO, POTETE CONSEGNARMI UNA PIZZA BABY PER FAVORE?…”

La telefonata arriva al 112, a Torino.

Le chiedono “Ma lei sa dove sta chiamando?”

E lei “Si, lo so benissimo…”

E smistano la telefonata alla Polizia.

Risponde lui, Vincenzo Maria Tripodi, 27 anni, reggino di servizio a Torino.

Capisce al volo.

Poche domande, quelle giuste, che prevedono solo un “si” o un “no” come risposta.

Poi un frastuono.

E la volante che parte.

Arriva prestissimo all’indirizzo giusto.

Angela ha il volto tumefatto, il figlio è terrorizzato, il marito è ubriaco e vuole ancora picchiarli.

I poliziotti suonano il campanello, lui apre convinto che sia il fattorino della pizzeria. Lo arrestano.

Angela e il bambino sono salvi.

Grazie alla sua idea di fingere di chiamare in pizzeria.

Alla polizia che arriva in 2 minuti e 50 secondi.

Grazie a Vincenzo, soprattutto. Che ha capito tutto e non ha perso tempo.

Vincenzo ha 27 anni ed ha studiato per fare il poliziotto.

Ecco, l’Italia bella, la gioventù pulita, seria, che si impegna e onora la divisa che indossa, ha il volto di Vincenzo Tripodi.”

Lo Stato ha fatto il suo lavoro

Per una volta, una rara volta, lo Stato ha fatto il suo lavoro, il suo dovere, ha impedito la continuazione di uno dei peggiori reati possibili, cioè la violenza sui più deboli. In questo caso, grazie alla lucidità coraggiosa di una vittima e grazie alla capacità di ascolto, di attenzione e di sensibilità umana e professionale dell’operatore del 112 di Torino. Perché dunque non trasformare questo esempio virtuoso che ci fa sperare in un possibile antidoto in un progetto strategico?

Servono codici linguistici convenzionali

A nostro avviso bisognerebbe agire su due piani, uno formativo, l’altro economico-finanziario … di risorse, in altre parole. Bisognerebbe, cioè, fin da subito, immaginare dei moduli di formazione-informazione, generalizzati, nelle scuole e in tutti i luoghi dove si radunano le nostre comunità, che pubblicizzino la possibilità di condivisione di “codici linguistici convenzionali” che permettano alla vittima di turno di poter trovare uno strumento che possa scatenare, attraverso una semplice telefonata, una immediata reazione delle forze dell’ordine durante una violenza perpetrata per lo più nei luoghi domestici.

Formare gli operatori dei centralini di pronto intervento

Dall’altra parte bisognerebbe che il Ministero dell’Interno destinasse risorse adeguate alla formazione degli operatori dei centralini delle chiamate di pronta emergenza come, nel caso citato, il 112. Insegnando loro il “come” intuire o attraverso “i codici linguistici adottati” . O comunque il tono della voce del soggetto che ha effettuato la chiamata, cosa stia avvenendo in quella comunità famigliare. E soprattutto come scatenare l’immediato intervento di una volante sul posto in modo tale da bloccare il “carnefice violento” prima che sia troppo tardi.

Mancano le risorse per intervenire

Alla banale domanda formulata ai nostri responsabili dell’ordine pubblico sul come mai ciò non accada, la risposta è sempre stata disarmante. “Non abbiamo le risorse per poter disporre degli equipaggi delle nostre volanti pronti per intervenire immediatamente in casi di questo genere, tenendo conto che ovviamente esiste il rischio di effettuare interventi “a vuoto”, in casi non legati a violenze contro i più deboli”.

La lotta contro ogni tipo di violenza è davvero una priorità?

Ne prendiamo atto. Ma allora rivolgendoci formalmente al neo responsabile del Ministero dell’Interno e anche allo stesso governo di Giorgia Meloni, chiediamo se la lotta al femminicidio o comunque la lotta contro ogni tipo di violenza contro le parti deboli, costituisca davvero una priorità per le nostre istituzioni. Perché se così fosse così, al di là di piangerci addosso ogni volta che la contabilità dei morti o dei pestati a sangue aumenta, basterebbe allocare le risorse necessarie con le finalità sopra descritte.

Questo, come sosteniamo da tempo, è un problema politico, di priorità vere da tutelare nel nostro Paese attraverso un impegno che non è soltanto culturale, formativo o solidaristico, ma deve diventare un impegno concreto sostenuto da fondi adeguati che tolgano ai responsabili dell’ordine pubblico ogni alibi per non cercare di evitare, anche in via preventiva, questo terribile e catastrofico fenomeno che caratterizza la nostra presunta coesione pacifica.

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