Una condanna pesante e ingiusta: questo, nella sostanza il commento più frequente che aveva accompagnato la sentenza di 1° grado, non solo da parte dei tifosi juventini.

Leggendo le motivazioni di quella decisione, sorge il dubbio che possa essere soltanto l’inizio di un’altra serie di sanzioni/condanne che potrebbero arrivare a carico della Juventus da parte del Tribunale Penale di Torino, da parte della UEFA o da parte della stessa Federcalcio sull’altro tema relativo alla gestione degli stipendi dei giocatori (su questo ultimo filone di indagine, il Procuratore Federale Chiné ha chiesto una proroga di ulteriori 40 giorni per completare le indagini).

La motivazione della decisione di 1° grado ci apre gli occhi e ci impone una riflessione più ampia sul mondo del pallone.

Il perché di un verdetto pesantissimo

A differenza della precedente assolutazione del maggio scorso su una fattispecie analoga, questa volta i Giudici Federali, dopo aver esaminato il dossier dell’inchiesta denominata Prisma della Procura di Torino, hanno accertato un quadro “fattuale” che ha portato ad una decisione peggiore rispetto alla richiesta del Procuratore Federale.

In particolare, i Giudici Federali hanno accertato che i dirigenti della Juventus ha fatto sistematicamente ricorso allo strumento delle plusvalenze fittizie, realizzando tutta una serie di condotte volute, programmate e con gli organi societari consapevoli, che hanno sostanzialmente portato alla redazione e approvazione di bilanci non veritieri con la connessa violazione di principi contabili e anche sportivi. Violazioni che hanno portato a una distorsione dei risultati sportivi del campionato in corso: “Il Consiglio di Amministrazione nel suo complesso ha condiviso o quantomeno sopportato tali violazioni” – si legge nella decisione.

Tali condotte d’altronde, secondo i giudici, sono state ammesse dagli stessi protagonisti e confermate da numerose telefonate oggetto di intercettazioni che hanno il valore di confessioni.

La circostanza che la Juventus sia anche una società quotata in borsa ha ulteriormente aggravato la fattispecie.

In riferimento alle altre squadre assolte, i Giudici Federali hanno ritenuto che non ci fossero prove concrete dello stesso disegno criminoso: singole compravendite furono effettivamente molto dubbie a livello di valutazioni dei giocatori, ma i giudici hanno riconfermato che, di per sé, è difficile avere una valutazione oggettiva del valore di un giocatore tesserato.

Esistono pochi margini per sperare in una riforma della decisione in appello, che sarò fondata esclusivamente su questioni di diritto.

L’unico aspetto sul quale potrebbe esserci uno spiraglio di accoglibilità potrebbe essere quello relativo all’esistenza degli estremi della revocazione (riapertura del procedimento per fatti nuovi emersi dopo un’altra decisione) a causa di un ritardo da parte del Procuratore Federale nell’avviare l’istruttoria che ha portato alla decisione di 1° grado.

Staremo a vedere.

Il modello di business non sta più in piedi!

Il caso Juventus, ma anche quello delle altre società assolte, dimostra drammaticamente che il modello di business delle società del mondo del pallone non sta più in piedi.

Costringe gli amministratori a ricorrere a condotte illecite, a sotterfugi contabili,  per cercare di costruire dei bilanci che apparentemente dimostrino solvibilità e risultati positivi.

L’auspicio è che questo contenzioso, tutt’altro che finito, costringa davvero tutti i dirigenti federali sportivi di tutte le società professionistiche, a condividere la necessità di una rivisitazione globale e condivisa delle regole del gioco, con banalmente l’introduzione di principi già ampiamente discussi in diverse occasioni come il Salary Cap, un Fair Play amministrativo e bilancistico controllato molto più rigorosamente dalle autorità di vigilanza, una buona fede dei responsabili delle società professioniste a gestire il conto economico in modo veritiero, trasparente e accurato.

Un’utopia?

Ci si augura di no perché in caso contrario il fallimento del sistema non è poi così lontano.

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