È stato un weekend nero, da incubo, per le Big Tech.

A Washington e a Venezia si sono scritte pagine che dovrebbero davvero segnare l’inizio di una nuova politica mondiale contro gli oligopolisti della Rete e del mondo dell’economia. Dopo tanti tentennamenti e dopo troppi tentativi andati a vuoto, finalmente i grandi della Terra hanno dato segnali concreti di voler arginare lo strapotere dei giganti del web, ormai più forti economicamente e quindi politicamente di molti Stati nazionali.

Dopo aver definito dal punto di vista normativo il principio dell’equo compenso sui contenuti delle opere protette dal diritto d’autore, ponendo fine al saccheggio gratuito che le Big Tech hanno perpetrato, per anni, ai danni degli editori tradizionali, finalmente si vedono i primi segnali concreti di una strategia non condivisa all’unanimità, che, da un lato, faccia finalmente pagare le tasse ai colossi del web nei singoli paesi a livello mondiale in maniera tale da redistribuire una parte delle colossali ricchezze che hanno maturato e stanno maturando fino ad oggi praticamente esentasse; dall’altro lato avviando una più stringente politica di controllo sulle operazioni straordinarie che vedono protagonisti spesso e volentieri proprio i giganti del web sempre più desiderosi di acquistare nuove società, consolidando la loro posizione dominante ed eliminando dei concorrenti.

Venerdì 9 luglio 2021, il presidente americano Joe Biden ha firmato un corposo decreto presidenziale (Excecutive Order) che prevede 72 nuove misure di intervento anti-trust e coinvolge 12 agenzie federali americane, il tutto per arginare quei monopoli che penalizzano “consumatori, lavoratori e piccole imprese” costruendo delle barriere di accesso alla libera concorrenza e provocando il calo dell’innovazione, salari più bassi e l’aumento dei prezzi finali.

Sabato 10 luglio 2021, a Venezia, il G20 ha dato il via ”quasi” definitivo alla Global Minimum Tax già condivisa lo scorso 1° luglio da 131 paesi (su un totale di 139) dell’Ocse.

Insomma, un weekend storico che stringe la morsa sul Far West operativo e fiscale delle Over the Top, soprattutto statunitensi.

Vediamo in sintesi il contenuto dei due provvedimenti.

L’Executive Order on Promoting Competition

A rendere urgente e necessario l’intervento di Biden è stata la presa d’atto dell’ormai consolidato assetto di potere nell’industria americana dei giganti del web. In 3/4 dei vari distretti industriali, rispetto a vent’anni fa, è aumentata la posizione dominante di un numero ristretto di aziende.

Biden ha costituito una White House Competition Council che rappresenta una sorta di Anti-Trust presidenziale che avrà l’incarico di monitorare i progressi e coordinare le risposte federali contro lo strapotere degli oligopolisti.

Giganti come Amazon, Apple, Facebook e Google, si legge nel documento del presidente americano, stanno distorcendo la concorrenza e distruggendo centinaia di società medio-piccole che subiscono la posizione dominante dei giganti del web.

Il provvedimento presidenziale sollecita le agenzie federali a verificare con grande rigore le operazioni che coinvolgono i giganti della Silicon Valley, controllando tutte le operazioni mirate direttamente o indirettamente a consolidare il loro potere e ad eliminare potenziali concorrenti dal mercato.

Troppo spesso – si legge nell’Executive Order – le agenzie federali hanno deciso di non bloccare, di non sottoporre a condizioni e, in alcuni casi, neppure ad esaminare simili operazioni”.

La Global Minimum Tax

Si tratta di un sistema di tassazione concordato a livello Ocse che mira a combattere i paradisi fiscali e a sottoporre tutte le multinazionali ad una tassazione con una certa aliquota minimale. L’intesa raggiunta durante la riunione del G20 sulla laguna veneziana, dovrà essere poi ratificata ufficialmente ad ottobre nella riunione del G20 di Roma e, se approvata, dovrà poi essere recepita dai parlamenti dei singoli stati.

L’entrata in vigore è prevista per l’inizio del 2023.

Da qui ad ottobre si cercherà di convincere i paesi che non hanno ancora sottoscritto l’accordo (come l’Irlanda, l’Ungheria e l’Estonia) per rendere ancora più forte la riforma.

Due sono i punti principali dell’intesa raggiunta dopo un anno di lavoro: (i) la riallocazione dei profitti delle grandi multinazionali e (ii) una Global Minimum Corporate Tax Rate.

La riallocazione dei profitti riguarda tutte le società multinazionali, circa un centinaio, che abbiano un giro di affari superiore a 20 miliardi di dollari l’anno e utili prima delle imposte pari ad almeno il 10% dei ricavi. Il prelievo fiscale scatterà se la multinazionale dovesse realizzare almeno un milione di ricavi in uno stato: tale soglia scende a 250 mila dollari per i paesi con un Pil inferiore ai 40 miliardi.

Il secondo aspetto fondamentale di questa nuova norma riguarda le multinazionali con un fatturato annuo di almeno 750 milioni di dollari. Ad esse si applicherà un’aliquota minima di almeno il 15% in ogni paese dove le società operano, indipendentemente da dove abbiano la sede legale.

Vengono dunque svuotati di contenuto tutti i modelli di tax planning attraverso i quali attualmente vengono eluse, talvolta lecitamente, le imposte. Si stima che la nuova tassazione potrebbe prevedere un gettito aggiuntivo annuo di 150 miliardi di dollari.

Naturalmente non hanno aderito all’intesa, per ora, paesi che attualmente hanno aliquote inferiori al 15%, come l’Irlanda (12.5%) e l’Ungheria (9%).

Insomma, dovremmo essere di fronte ad una svolta: nei prossimi mesi si vedrà se la coesione registrata a Venezia porterà all’approvazione definitiva della normativa e al suo recepimento negli ordinamenti nazionali. Vedremo anche se Biden potrà davvero concretizzare un salto di qualità nel controllo delle condotte dei giganti del web.

Un’ultima riflessione: l’accordo di Venezia è avvenuto durante il semestre di presidenza italiana del G20. Anche su questo tavolo l’esperienza, la competenza e la capacità negoziale di Mario Draghi ha fatto la differenza. Possiamo esserne giustamente orgogliosi e grati.

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