L’Europa si gioca tutto nei prossimi dieci giorni. Dopo l’ennesimo stallo di Praga  da oggi al prossimo 20 ottobre, data del Consiglio Europeo, quello, tanto per capirci, formato dai Capi di Stato e di Governo dei 27, c’è un ultimo slot per salvare il sogno europeo della solidarietà tra i paesi membri. Se prevarrà il frazionismo e non sarà raggiunto un accordo sul Price Cap del gas, potrebbe scatenarsi una comprensibile domanda provocatoria. “Perché continuare a stare in un club, apparentemente solidaristico ma in realtà dove ciascun membro cura e protegge i suoi interessi nazionali?”.

Facciamo pure i nomi di chi sta affossando l’Europa

Un disastro: un fallimento del progetto nato a Ventotene, causato proprio dalla miopia e dall’egoismo di alcuni stati. Facciamoli pure i nomi: ciascuno si prenda le sue responsabilità. Stiamo parlando della Germania e dell’Olanda che ormai da mesi manifestano i loro dubbi e le loro preoccupazioni sulla determinazione di un tetto al prezzo del gas che potrebbe compromettere le loro fonti di approvvigionamento. Facciamo, allora, un passo indietro, per cercare di capire cosa stia succedendo.

Perchè è importante una politica comune europea

Come mai dopo le esperienze della crisi finanziaria e della tragedia pandemica, siamo ancora qui a discutere sull’importanza di una politica comune europea, contro le emergenze di questo tragico terzo millennio? Come mai, avendo visto i risultati positivi delle politiche adottate da Bruxelles prima con il “whatever it takes” (copyright di Mario Draghi) e poi con la gestione centralizzata dei provvedimenti contro la pandemia, non ci rendiamo conto che la crisi energetica, scoppiata anche a seguito della guerra in Crimea, debba diventare una battaglia comune degli europei, stretti e coesi intorno ad un progetto solidale che tuteli tutti gli stati membri e non soltanto alcuni di essi.

Prezzo del gas: un saliscendi che ostacola aziende e famiglie

In un precedente contributo, abbiamo evidenziato come il rialzo dei prezzi del gas sia anche e soprattutto figlio della speculazione che governa e dirige il TTF olandese e cioè la Borsa delle materie prime energetiche. Trattandosi di un classico esempio di speculazione finanziaria che sconta le previsioni future degli andamenti della domanda e dell’offerta di quello specifico mercato, basta un segnale di avvicinamento o comunque di volontà dell’Unione Europea di trovare un accordo sul Price Cap per far crollare i prezzi, come è accaduto nelle ultime settimane. Attualmente il prezzo del gas è intorno ai 155 euro, circa la metà dei livelli toccati negli ultimi mesi.

In balia della speculazione fino a nuovo ordine

Questo è accaduto perché sembrava che l’accordo sul Price Cap fosse vicino alla conclusione. Dopo lo stallo di Praga e in vista del prossimo Consiglio Europeo del 20-21 ottobre a Bruxelles, se non arriveranno dei segnali forti, la speculazione tornerà a farsi viva facendo rialzare nuovamente il prezzo del gas. Bisogna dare atto al governo Draghi di aver formulato la proposta di un Price Cap fin dallo scorso mese di marzo. I tentennamenti e i rinvii di Bruxelles, forti dell’opposizione di Germania e Olanda soprattutto, hanno causato, soltanto al nostro Paese, un aggravio di costi di bilancio pari a 66 miliardi di euro!

Che fare quindi?

Insomma, un ritardo ingiustificabile che oggi contamina fortemente sia l’immagine dell’Europa unita sia i conti economici dei singoli paesi membri. Come bisognerebbe fronteggiare questa crisi e su cosa stanno lavorando i 27 paesi membri? La Commissione UE sta predisponendo tre linee di azione.

Serve l’introduzione di un limite al prezzo del gas

1) acquisti di gas coordinati. 2) limitazione dei prezzi attraverso un negoziato con i fornitori più affidabili, meccanismi per eliminare la volatilità del prezzo, riforma del TTF e tetto al prezzo del gas usato per produrre elettricità. 3) nuovi fondi per il RepowerEu, un nuovo fondo comune finanziato dal debito europeo per intervenire efficacemente nella politica di arginamento dei prezzi delle materie prime. Siamo dunque, in altre parole, di fronte all’introduzione di un limite al prezzo del gas oltre il quale ci sarà l’impegno a non acquistarlo più. In tal modo i prezzi dovrebbero abbassarsi, diminuire la volatilità di un mercato che ha registrato oscillazioni anche del 20-30% in pochi giorni.

La Germania gioca con il catenaccio…

Molti si chiedono perché proprio la Germania, il paese leader dell’Unione Europea, si sia sempre tenuta finora in una posizione di contrarietà a tale ipotesi, deliberando addirittura un intervento da 220 miliardi di euro a favore soltanto delle imprese e dei cittadini tedeschi penalizzati dall’aumento dei costi delle materie prime. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha più volte ribadito che “ogni intervento rivolto ai prezzi del gas sul mercato solleva automaticamente interrogativi sulla sicurezza dell’approvvigionamento. Quindi dobbiamo discutere queste cose con molta attenzione”. Scholz teme che un tetto al prezzo del gas possa scatenare delle reazioni negative degli altri paesi esportatori che potrebbero vendere il gas verso altri stati del mondo che lo pagano di più.

… e intando Oslo conta i super guadagni

L’unico stato in Europa che sta guadagnando miliardi di euro al mese in questa incertezza decisionale, è la Norvegia, il maggior produttore di idrocarburi dell’Europa occidentale. Grazie alle vendite di gas all’UE, nel 2020, la Norvegia ha fatturato 2 miliardi di euro; nel 2021 6 miliardi. Quest’anno quasi 10 solo nei primi sei mesi dell’anno. In sostanza, il paese nordico sta moltiplicando per dieci le entrate da esportazioni di materie prime. In questo delicato e pericoloso contesto politico, incominciano a sollevarsi voci provocatoriamente critiche all’interno dei paesi membri. “L’Unione Europea – si sente dire – non è un taxi che si usa quando è comodo e, poi si scende quando non è più vantaggioso”.

Io “speriamo che me la cavo” anche nel 2024

Non dobbiamo dimenticarci, inoltre, quello che ha dichiarato l’amministratore delegato dell’ENI Claudio Descalzi. “Senza le infrastrutture ossia rigassificatori e stoccaggi più ampi, l’inverno più difficile sarà quello del 2023-2024, non quello del 2022-2023”. La sfida davanti a Bruxelles è molto netta. O si privilegia la solidarietà e allora si adottano tutti quegli strumenti analoghi a quelli messi in campo prima per la crisi finanziaria poi per la crisi sanitaria, oppure prevarrà il frazionismo. Ci saranno evidenti disparità di sacrifici posti a carico di alcuni stati e non di tutti. Sarà sicuramente favorito il ritorno ad un populismo sovranista alimentato dalle contraddizioni di Bruxelles.

L’ultimo Consiglio UE con Draghi presidente del Consiglio

Le reazioni popolari contro le sanzioni aumenteranno e si trasformeranno in proteste, anche violente, contro l’Unione Europea. E’ pertanto urgente e decisivo che questi dieci giorni che mancano al prossimo Consiglio d’Europa, siano utilizzati per addivenire ad una proposta condivisa. Il nostro Presidente del Consiglio che sta per lasciare Palazzo Chigi, affronterà il prossimo Consiglio UE, per lui l’ultimo, con la rigorosa determinazione di trovare una soluzione, festeggiando così un suo successo personale.

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