Era il 1998 quando dalle ceneri, ormai fredde, dei due grandi partiti di massa (DC–PCI) si mise in moto la carovana dei progressisti a vario titolo. I carri di questa carovana provenivano da un centro che non si riconosceva nella destra, da una sinistra riformista che, al suo interno, aveva un’idea delle riforme non univoca.

In quel frangente prevalsero i punti di accordo sui punti di disaccordo che c’erano ma furono in qualche modo accantonati. Infatti, non molto tempo dopo, ci furono le prime defezioni (Rutelli), segno che le visioni politiche e i personalismi non sempre combaciavano. La carovana tra alterne vicende, alcune vittoriose, altre disgregatici scissionistiche, ha diretto la politica del paese per lunghi periodi e in altri è stata all’opposizione, costituendo sempre la riserva istituzionale nei momenti di crisi acuta del paese. La destra, per ora, questo ruolo non lo ha mai svolto. La carovana nel tempo ha cercato di compattarsi e quando ci è riuscita è stato perché aveva individuato un nemico esterno, anche se le diverse visioni riformistiche continuavano a rendere fragile la coesione della carovana fino a quando l’avvento di un segretario di orientamento centrista, se non di centro destra, ha fatto esplodere le contraddizioni interne da cui l’ultima scissione a sinistra. Oggi quella carovana è dispersa, confusa, non ha una guida e non riesce a mettersi in cerchio, come le carovane del far west, che in quella figura geometrica trovavano la ragione per resistere e continuare il cammino verso la meta comune programmata.

Il 4 marzo pezzi di questa carovana hanno scelto di orientarsi con le stelle (5), altri frammenti hanno scelto la legge e ordine della Lega. Quello che è rimasto della vecchia carovana, che non vuole arrendersi alla marea montante del populismo poco competente che avvolge il paese, è alla ricerca affannosa di una linea politica capace di riaggregare le diverse anime dei progressisti a vario titolo e soprattutto di una guida in grado di interpretare quella linea politica senza essere divisivo perché divisivi per loro natura sono i progressisti a vario titolo.

Chi ha avuto la pazienza di leggere fino a questo punto si starà chiedendo perché questo sintetico e incompleto excursus sulle vicende dell’area di centro-sinistra oggi rappresentata dal PD. Ricordare questo passato mi aiuta a raccontare una esperienza personale di qualche settimana fa.

Dopo quasi 60 anni di voluta assenza dalle riunioni di partito, un amico molto insistente e molto più giovane, mi ha trascinato ad assistere all’incontro organizzato da Cuperlo a Milano e al Forum del PD sempre a Milano. Il risultato di questa esperienza è stato: una sconsolata tristezza e l’idea che non sarà facile uscire dalla crisi nella quale si dibatte il PD e quello che rappresenta.

Non voglio fare critiche facili e scontate. Queste se mai dovrebbero farle i dirigenti, quelli che hanno contribuito, tanto o poco, a provocare la situazione confusa che l’area di riferimento sta vivendo. Non voglio esprimere giudizi sulle persone, tutte persone per bene impegnate in buona fede a ricercare soluzioni a una crisi che non è iniziata il 4 marzo ma viene da lontano e rischia di durare ancora per molto.

Non voglio esaminare i diversi candidati che hanno dichiarato o che stanno per dichiarare di concorrere alla segreteria del PD, perché il sospetto che qualcuno giochi a carte coperte è un sospetto che mi disturba.

Non desidero abbandonarmi a dietrologie  relative all’ennesima scissione, questa volta a destra e sarebbe un unicum nella storia della sinistra, sponsorizzata dall’ex segretario che pur dichiarandosi lontano incombe sulla vita del partito.

Più che di quello che ho sentito vorrei fare la cronaca di quello che ho visto nei due eventi. La panoramica sulla platea evidenzia l’assenza dei ventenni, dei venticinquenni. Ognuno può pensarla come vuole su queste categorie, ma un fatto è certo, tra 15/20 anni i ventenni di oggi saranno la classe dirigente di domani.

Quale formazione politica avranno?

Chi li formerà politicamente?

Dove impareranno a gestire la cosa pubblica?

Che conoscenza avranno dell’immenso corpo delle leggi amministrative per gestire la PA. ?

Prima c’erano i partiti, le scuole di partito, le federazioni giovanili che facevano parte dell’assemblea di partito e della direzione. Oggi c’è internet e i social. E’ sufficiente?

Tutto quello che serve per gestire la cosa pubblica lo si apprende navigando?

Non è questa la condizione che crea lo scontro tra chi ha esperienza e sa (la cd burocrazia) e gli eletti chiamati a governare che non sanno o sanno poco? Già in questa fase rileviamo gli scompensi conoscitivi creati dalla nuova classe di governo molto impegnata nei social.

Con tutti i guai che ha il paese, questo sembra un problema di scarso significato. È così? Io non credo. In quegli incontri, questo tema non era in agenda, l’assenza dei giovani non era un problema. Conoscere cosa pensano i giovani non riguarda il futuro di un partito? Scoprire che magari le nuove generazioni non sono capitaliste e hanno altre aspirazioni , non riguarda l’esistenza di un partito e non è un dovere per la dirigenza?

Dire che la dirigenza è occupata a guardarsi l’ombelico è facile, dire che è solo preoccupata di posizionarsi in vista di futuri assetti di comando forse è offensivo e sbagliato, ma questa era l’impressione.

Sempre carrellando sulla platea i posti erano occupati da persone la cui età media poteva essere intorno ai 45 anni e non era difficile immaginare che rappresentavano il centro moderato riformista  che oggi costituisce il grosso dell’ elettorato del PD. La domanda che mi sono posto è:

Questo Centro è in grado di riattrarre i dissenzienti che sono andati verso il M5S e quelli che hanno provocato la scissione a sinistra? Questo Centro ha la capacità di ascoltare chi se ne andato o pensa di ricompattarsi con il centro moderato che ha scelto ciò che rimane di Forza Italia?

Torna sempre il vecchio problema: lo spettro del riformismo è molto ampio e non è facile contenerlo in un unico contenitore. Sono necessari flessibilità, dialogo, ascolto, nessuna imposizione e soprattutto nessuna prevaricazione, perché a sinistra è facile essere suscettibili. Forse c’è un eccesso di intelligenza.

Osservando i relatori, senza entrare nel merito dei loro interventi, su un punto erano tutti d’accordo: le critiche durissime all’attuale governo. E’ naturale, se sei all’opposizione critichi. Mi sarei aspettato che qualcuno opponesse

alla manovra di governo, la contromanovra dell’opposizione. Neanche una parola sul grave problema rappresentato dal fatto che l’Italia cresce la metà della media europea. Neanche una parola sul fatto che ogni italiano, neonato o morituro, ha una gobba sulla schiena rappresentata da un debito di circa 38/40 mila euro. Ormai il nostro debito è un dato di fatto che è scritto nei bilanci e viene riproposto anno dopo anno senza che nessuno metta mano a una sua riduzione, anzi cresce. Neanche una parola sul fatto che gli investitori stranieri non vengono in Italia.

Se il PD fosse stato al governo cosa avrebbe fatto? Non è questa la funzione di un governo ombra, se esistesse? Non è solo critica, ma anche proposta da portare in parlamento, in piazza, nei social, nei corpi intermedi, nel paese.

Temo che la proposta della contro manovra non ci sia perché nel momento attuale qualunque proposta corre il rischio di essere bocciata dal fuoco amico.

Quale contro manovra potrebbe proporre il PD se non esiste una linea politica condivisa? Dai relatori mi sarei aspettato qualche idea, qualche indicazione in vista delle elezioni UE del maggio 2019.

Nessuno ha accennato a quella che sembra un’intesa tra l’ala democratica dei socialisti democratici americani, per capirci, Bernie Sanders, e il gruppo europeo di Yanis Varufakis che si presenterà alle elezioni europee.

Sanders e Varufakis si sono messi insieme con l’idea di progettare un piano comune, un New Deal internazionale. Primo passo per una collaborazione più ampia tra i neo socialisti americani e quelli europei.

Sanders ha così sintetizzato: il nostro compito è raggiungere chi in qualsiasi parte del mondo condivide gli stessi valori e sta combattendo per un mondo migliore, contrapponendoci al nuovo asse autoritario guidato da oligarchi multimiliardari.

In tutto questo il PD risulta non pervenuto e sorge il sospetto che, simpatie o meno per Varufakis, non si sappia che pesci prendere perché non esiste una linea politica e si è tutti in attesa del miracolo delle primarie e del nuovo capo quando sarà. E’ incredibile il mondo intorno a noi accelera e il PD è fermo.

Intanto Maggio si avvicina, gli altri prendono posizione, lavorano per una maggioranza parlamentare europea di centro destra a trazione sovranista, nella completa afasia del PD e della famiglia dei partiti socialisti che elezione dopo elezione  si vanno disfacendo. In Europa si gioca il nostro futuro e il PD è assente.

A margine di questa situazione va anche detto che a sinistra del PD la scissione dell’atomo è sempre di attualità.

Rottura all’interno di Potere Operaio tra chi veniva da Rifondazione e chi no. Divorzio in Liberi e Uguali perché quelli di Sinistra Italiana (ex Vendola) se ne sono andati e tentano di agganciare il nascente movimento di De Magistris. Quelli di MdP Articolo 1 ( D’Attorre, Speranza, ecc.) restano in LeU ma sono sempre più vicini al rientro nel PD in caso di vittoria di Zingaretti. (Non so se gli fanno un favore). A questo quadro manca solo l’eventuale scissione a destra sponsorizzata dall’ex segretario.

Dopo l’annuncio delle dimissioni di Martina c’è stato qualche accenno alle primarie, di cui la data ancora non c’è.

Si capiva che tutti erano attenti a non scoprire le carte, una riflessione sensata è stata espressa da Minniti: se i candidati saranno più di due è quasi certo che le primarie non eleggeranno il segretario. Di conseguenza il segretario sarà il risultato degli accordi tra le correnti. E’ questo il risultato che si aspetta il popolo delle primarie? Questo modo di procedere non è una via per allontanare un altro pezzo di elettorato?

Forse bisognerebbe richiamare Nanni Moretti, per tornare a urlare in piazza:

CON QUESTA CLASSE DIRIGENTE NON VINCEREMO MAI.

Comments (1)
  1. Riccardo Tosi (reply)

    13 Novembre 2018 at 19:13

    Hai ragione Fidelio! Non esiste più la sinistra, la “vera” sinistra. Si è afflosciata sul centro e non è solo colpa di Renzi. Un po’ tutti hanno contribuito e non solo per scarso coraggio, ma ha soprattutto prevalso il personalismo, l’egocentrismo esasperato, la smisurata voglia di primeggiare, di essere comunque il numero uno. Alla faccia dello spirito di corpo, di quella disciplina di partito che era da sempre stata un punto di forza della sinistra! Basti pensare a Renzi, soprattutto ai suoi seguaci che insistendo nel riproporlo non hanno capito, o voluto capire che con un perdente (referendum ecc.) sarebbe stato impossibile vincere. E’ altrettanto vero, ci voleva, ci vorrebbe un altro Moretti a gridare in faccia a tutti i prossimi candidati (e qui è giustamente profetico Minniti!): dite – e soprattutto fate – finalmente qualcosa di sinistra! Fremo e tremo all’idea dell’ennesima lacerazione interna, poiché non sarebbe solo la fine della sinistra ma, evento ancor più grave, la morte della democrazia in Italia (in giro sta già avvenendo), per un banalissimo (sic) motivo: non esiste democrazia senza una degna opposizione.

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