Bisogna passare dalle politiche elettorali alle politiche generazionali.

Bisogna programmare l’utilizzo dei fondi europei in chiave prospettica non solo risarcitoria o manutentiva.

Questi sono i nuovi paradigmi a cui ispirarsi.

Non dimentichiamoci che gran parte dei fondi Next Generation UE e MES dovranno essere rimborsati dai nostri figli e dai nostri nipoti: a fronte di questo fardello di debiti almeno facciamo in modo che possano fruire dei benefici di questa enorme liquidità.

Nell’Enciclica “Fratelli Tutti” Papa Francesco ha scritto che “il politico è un realizzatore, è un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio, realistico e pragmatico, anche al di là del proprio Paese”.

La nostra attuale classe politica non sta dimostrandosi all’altezza della visione e della pretesa del Sommo Pontefice.

Il teatrino di questi giorni lo dimostra ampiamente.

Quindi?

Cosa possiamo sperare che accada da qui al 10 di gennaio quando scadrà l’ultimatum renziano a Conte per cambiare metodo (gestione dei fondi) e merito (dove e come allocarli) della manovra governativa?

Abbiamo già descritto i grandi pregi ma anche i rischi di una ipotesi Draghi, al momento auspicata da molti ma nella realtà, remota nella sua concretizzabilità.

Proviamo dunque ad approfondire le due critiche rivolte a Conte da Renzi e non soltanto dall’ex primo ministro.

La gestione dei fondi

E’ apparso a tutti abbastanza chiaro come all’inizio della seconda ondata del Covid, Conte abbia tentato il “colpo di mano”, portando a casa un risultato in termini di gestione autonoma della politica del governo, con particolare riferimento proprio alla futura gestione dei fondi europei.

Quella che è stata definita la “prova muscolare” sul Next Generation UE, con l’ipotesi di una cabina di regia ristretta e un folto gruppo di manager che avrebbero potuto commissariare sia i singoli ministri sia la pubblica amministrazione, è sembrata a tutti uno strappo, una cosa inaccettabile al di là della denuncia, formalmente ineccepibile, formulata da Renzi dai banchi nell’aula del Senato.

Il particolare più eclatante di questo tentativo del Presidente del Consiglio è costituito dal contenuto del comma 16 della Legge che probabilmente non verrà mai emanata!

Tale comma, nella bozza che è girata nelle stanze del potere proprio nelle ore di vigilia dell’arringa di Renzi al Senato, recita: “i responsabili di missioni esercitano poteri sostitutivi per risolvere situazioni o eventi ostativi alla realizzazione delle opere di propria competenza dandone immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri”.

Dunque, nessun controllo preventivo della Corte dei Conti sugli atti della struttura di missione e ampi poteri derogatori dei manager impegnati nella gestione dei fondi e per le società in-house coinvolte per la realizzazione dei progetti.

Non ha stupito tanto la circostanza che la politica cercasse di “mettere le mani” sulla gestione dei fondi (dai tempi del Piano Marshall nessun governo ha potuto contare su una dotazione di risorse pari a oltre 300 miliardi per impostare il futuro del Paese!) quanto l’arroganza e la presunzione di Conte di far passare questa norma, quasi sotto traccia, e comunque all’insegna di un proclamato necessario efficientismo per poter realizzare tutti gli investimenti previsti dal piano.

Nei confronti di queste ore, emerge che Conte sta facendo dei vistosi passi indietro: non solo ha accettato, con i leader della sua maggioranza, di rivedere la governance a suo tempo proposta, ma si è dichiarato disponibile a ripartire “dal prato verde” per studiare la miglior soluzione di struttura organizzativa che possa permettere da un lato di gestire con competenza ed efficienza le risorse a disposizione e dall’altro di un controllo preventivo della politica ma anche dell’amministrazione sugli atti da eseguire.

Sorprende che l’attuale Presidente del Consiglio continui a ribadire la necessità di un coinvolgimento di risorse professionali private, quasi ad evidenziare l’assoluta incapacità delle strutture amministrative dei ministeri a svolgere tale compito.

La questione sulla inefficienza della pubblica amministrazione italiana è una vecchia questione mai risolta: nella macchina dello stato esistono risorse professionali di alto livello ma, nello stesso tempo, esiste anche una gran parte della struttura che si è impigrita in una organizzazione basata non su principi meritocratici né premiali.

Da questa constatazione però sembra sbagliato, sotto più punti di vista, immaginare di gestire i fondi europei al di fuori delle risorse professionali dei funzionari dello stato.

Un atteggiamento offensivo che rischia di creare una reazione uguale e contraria della burocrazia statale contro le iniziative di Palazzo Chigi.

Potrebbe apparire banale sostenerlo, ma la storia italiana ci insegna che soltanto una giusta combinazione tra i funzionari dello stato, i rappresentanti della politica e qualche manager, preso a prestito dal mercato delle imprese, può davvero garantire quella efficienza ed efficacia (unite alla necessaria salvaguardia della trasparenza e legalità) che sono fondamentali per non buttare al vento questa ultima e grande occasione che il nostro Paese ha per, finalmente, mettere le mani nelle grandi riforme tanto sbandierate e mai fatte negli ultimi trent’anni.

L’auspicio è dunque che le trattative di questi giorni si concludano con un modello di governance che risponda a queste oggettive esigenze.

L’allocazione dei fondi

Come è emerso nelle critiche all’operato di Conte, alcune allocazioni dei fondi contenute nella bozza proposta dal Presidente del Consiglio sono apparse come scritte da un … marziano!

Neanche 4 miliardi per la cultura e per il turismo, soltanto 9 miliardi per la sanità!

Due esempi che lasciano esterrefatti sulla pressapochistica gestione di quel documento evidentemente redatto in fretta, da persone incapaci o comunque non a conoscenza delle priorità del Paese.

In che cosa dobbiamo sperare per un cambiamento?

Illuminate teste del nostro Paese si sono, negli ultimi mesi, concentrate a redigere delle ipotesi sulla miglior allocazione degli oltre 200 miliardi di euro previsti dal Next Generation UE.

Ormai non se ne parla più, ma il piano Colao potrebbe, ad esempio, rappresentare un’ottima fonte di idee e di progetti su cui ragionare per la stesura finale del nostro piano per Bruxelles.

Un’altra fonte a disposizione del nostro governo è costituita dal rapporto, pubblicato proprio in questi giorni, dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) dedicato alla situazione delle regioni, delle provincie e delle città italiane con riferimento ai 17 obiettivi dell’agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile.

L’ASviS ha steso questo rapporto di oltre 180 pagine che costituisce una straordinaria fotografia e mappatura della situazione dei nostri enti locali e territoriali rispetto agli obiettivi dettati dall’Onu.

Quindi un documento che già di per sé dovrebbe stimolare il governo a capire dove allocare i fondi in arrivo ripartendo le quote di competenza proprio in funzione dei settori dove le criticità sono ancora tante e complesse.

Enrico Giovannini, portavoce dell’ASviS, si è posto alcuni interrogativi rispetto alla poca attenzione dimostrata dal nostro governo su tale rapporto. “Il rapporto indica chiaramente che gli amministratori più vicini alle esigenze dei cittadini, delle imprese e dei fornitori hanno già appreso come inserire i propri piani di sviluppo all’interno di quella visione “trasformativa” del sistema socio-economico auspicato dall’ONU e dall’Unione Europea” – ha scritto Giovannini.

Mentre la politica nazionale, forse a causa di un ritardo culturale, stenta a comprendere la necessità di offrire una visione del futuro fatta non della giustapposizione di singoli progetti ma di un approccio integrato alle politiche economiche, sociali ed ambientali”.

Perché, si chiede Giovannini, il governo anche in vista dell’uso dei 209 miliardi del Next Generation UE non utilizza tale rapporto ASviS come riferimento per l’attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza?

Il piano riguarda l’energia, la lotta contro le disuguaglianze, le pari opportunità, la salute, la tutela dell’ambiente, l’investimento in infrastrutture e la formazione dei giovani e degli ex occupati.

Insomma, tutte le priorità del Paese: basterebbe leggere il rapporto, prendere atto della situazione e costruirci sopra un riparto delle risorse da allocare mirato agli interventi proprio in quei settori dove sono più evidenti le nostre fragilità.

Proprio in questo ambito di ragionamenti, Giovannini evidenzia anche l’importanza di stilare un piano che tenga conto delle diversità strutturali di certi territori della nostra penisola rispetto ad altri.

Ci sono regioni che presentano situazioni molto più forti rispetto ad altre e in particolare a quelle del nostro sud.

In definitiva, l’ASviS ritiene che la trasformazione del Paese non possa che passare necessariamente “per un’analisi dei diversi territori che caratterizzano l’Italia e la definizione di progetti e programmi integrati in una visione moderna dello sviluppo, basata sull’idea di sostenibilità economica, sociale e ambientale”.

La politica non ha, dunque, più alibi: abbiamo voluto fare soltanto due esempi di rapporti sullo stato del nostro Paese che dovrebbero costituire i benchmark di riferimento di un esecutivo che volesse davvero evitarsi delle gaffe come quelle, numerose, contenute nella bozza di piano fatta circolare da Conte e messa poi alla berlina dall’intervento di Renzi in Senato ed alle successive contestazioni originate da tutti i partiti presenti in Parlamento.

Vediamo cosa succederà nei prossimi 15 giorni a cavallo tra Natale, Capodanno e la ripresa dopo il week end dell’Epifania.

Intanto, buon Natale a tutti cari e fedeli lettori.

Comments (1)
  1. Luca (reply)

    29 Dicembre 2020 at 5:40

    Hai visto che ho fatto creare l’ASviS a mia immagine….
    Comunque bravo e lucido come sempre!
    Grazie

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