C’è in giro una gran voglia di nuovo.
Di novità.
Di una ripartenza che non ci riporti pigramente o dolosamente al “come eravamo”.
Non so se questo sia il sentire della maggioranza di noi, ma percepisco dalle interlocuzioni video o audio che abbiamo in questi giorni di quarantena, una voglia, apparentemente meditata, di cambiare le cose.
Non credo alla retorica del “nulla sarà come prima” ma sono convinto che questa emergenza sanitaria, economica e sociale ci debba spingere ad adottare un nuovo modo per affrontare i vecchi problemi.
E’ una grande opportunità!
Perché, non dimentichiamocelo nella mitizzazione del “prima”, le nostre società, e il tema non è solo italiano ma europeo e mondiale, erano già sprofondate in una fase di declino, di malessere, di disordine fisico ed etico.
Con rischi per la coesione sociale e per la stessa tenuta dei sistemi democratici: rischi causati dall’inaccettabile livello delle disuguaglianze, dal folle e masochistico atteggiamento verso l’ambiente e la natura (animale e vegetale), dall’ansia consumistica, dall’avidità finanziaria, da un egoismo cieco ed autodistruttivo di molte élite del Villaggio Globale.
Il “dopo”, se non vogliamo tornare esattamente al punto di partenza e se volessimo davvero valorizzare la tragedia che stiamo vivendo, dovrebbe essere affrontato in modo diverso, più visionario, più solidale, più in linea con il rispetto di un ecosistema naturale che ci si sta rivoltando contro.
La crisi che stiamo vivendo è sistemica e sarebbe un errore storico pensare di risolverla con azioni settoriali, limitate, sempre basate su distinzioni ormai vuote di significato tra aspetti economici, istituzionali, ambientali e sociali.
Necessitiamo di un “cambio di paradigma”.
Enrico Giovannini, Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e membro della task force di Vittorio Colao (profondo conoscitore del sistema italiano e degli italiani, essendo stato presidente dell’ISTAT dal 2009 al 2013 e, poi, Ministro del Lavoro nel governo Letta nel 2013-2014), ha recentemente, sulle colonne del Corriere della Sera, citato Thomas Kuhn, che aveva definito il “cambio di paradigma” come quel processo che si innesca quando il pensiero dominante, incapace di spiegare numerose anomalie che non dovrebbero esistere, viene soppiantato da un pensiero diverso.
Forse, sostiene Giovannini, e personalmente concordo al 100% su tale tesi, siamo alle soglie di un tale cambiamento, “Il che non vuol dire che “nulla sarà più come prima” ma che forse sarà diverso il modo di affrontare i vecchi problemi”.
In base agli ultimi accordi europei, sofferti e faticati, l’Italia potrebbe ottenere fino a 90 miliardi di euro: una dote costituita da 20 miliardi sullo strumento anti-disoccupazione denominato Sure, 34 miliardi sul fondo della Bei e 36 sul Mes (o come lo si vorrà ridenominare), sempre che ne faccia richiesta.
Una marea di soldi che abbiamo la responsabilità di spendere bene e soprattutto erogare in base ad una nuova strategia, insomma ad un “cambio di paradigma”.
Le aree prioritarie che necessitano di tale cambiamento di approccio potrebbero essere, a mio avviso, le politiche del welfare, la green policy, un ulteriore allargamento dell’accesso alla banda larga di tutte la popolazione italiana, una svolta efficiente nell’azione contro l’evasione fiscale e contro l’economia sommersa delle associazioni criminali.
Gli interventi dovranno rispondere preliminarmente ad alcune domande che l’Economist, proprio alla luce della drammatica esperienza che stiamo vivendo in questi mesi di pandemia, ha posto duramente e lucidamente sul tavolo: “Quanto vale una vita umana? A quanto prodotto interno lordo (PIL) siamo disposti a rinunciare, mantenendo il lockdown per evitare il rischio che il virus uccida delle persone?”
L’architettura degli interventi che il governo italiano sta configurando per arginare e gestire questa emergenza, non potrà evitare di sciogliere “a monte” questi due interrogativi para-filosofici.
Solo così, potremo dare una risposta adeguata a quella voglia di novità che sentiamo circolare tra le persone in queste inedite giornate di quarantena.
Solo in questo modo, potremo ripartire sapendo dove vogliamo andare.
E vediamo adesso, anche se attraverso una sintetica carrellata, quali sono le tematiche che impattano sui quattro settori citati:

1.         La lotta alle diseguaglianze: un nuovo welfare. Nel 2018 il reddito disponibile del 20% più ricco della popolazione era pari a 6 volte quello del 20% più povero: a febbraio del 2020 il governo prevedeva che tale rapporto sarebbe rimasto stabile anche nel prossimo triennio. Questa crisi colpirà sicuramente e maggiormente i più deboli e il governo dovrebbe orientare maggiori risorse a loro favore. Il sistema italiano di welfare – sostiene Giovannini – “è stato disegnato nei decenni per gestire crisi classiche del capitalismo, violente, ma brevi (si pensi alla cassa integrazione)”. Dopo la crisi di 10 anni fa, si cambiò approccio e nacquero nuovi strumenti come il reddito di cittadinanza. Oggi c’è la consapevolezza che quegli strumenti non sono più idonei a tutelare crisi sistemiche come quella attuale in quanto non riescono a proteggere adeguatamente milioni di lavoratori, sia regolari che irregolari. Per l’ASVIS, di cui, come detto Giovannini è il Portavoce nazionale, bisogna immaginare un nuovo strumento, il Reddito di Emergenza che potrebbe proteggere i “dimenticati” da questa crisi sistemica.

2.         Green policy. Una delle teorie scientifiche più accreditate evidenzia una correlazione tra l’inquinamento ambientale e la circolarizzazione del virus. La Pianura Padana è una delle zone più inquinate d’Europa ed è proprio lì che il Covid ha fatto stragi. Il paradosso della nostra politica è che lo stato ogni anno eroga 16 miliardi di euro di sussidi a imprese e famiglie a favore dell’ambiente: nello stesso periodo eroga 19 miliardi di sussidi ad imprese che danneggiano l’ambiente. Bisogna reinventarsi una politica che rivisiti questa contraddizione riorientando gli incentivi nella giusta direzione del rispetto dell’ambiente. Senza contare che una green policy efficiente genera migliaia di nuovi posti di lavoro dando vita ad uno sviluppo sostenibile con importanti guadagni di produttività.

3.         La rivoluzione digitale per tutti.  Questa emergenza ha evidenziato l’utilità di molti degli strumenti originati dalla rivoluzione digitale: i due esempi più lampanti sono lo smart working e la web school. Due straordinari sistemi che hanno permesso da un lato alle aziende di continuare a lavorare in remoto e dall’altro agli studenti di completare i cicli formativi. Il problema però c’è stato e ha dato vita ad una profonda ed evidente ingiustizia: non tutti hanno potuto approfittare di questa innovazione tecnologica. “Vogliamo darci l’obiettivo che tutta l’Italia, comprese le aree interne, e tutte le persone, comprese le più svantaggiate, abbiano accesso alla banda larga e a strumenti tecnologici adeguati al XXI secolo? Questa è la provocazione gridata da Giovannini che invoca un piano straordinario per le infrastrutture digitali analogo a quello che è stato messo in campo per potenziare finalmente i reparti di terapia intensiva.

4.         La lotta all’evasione e al sommerso. Il tema non può più essere rinviato o, peggio, ricordato soltanto in campagna elettorale. Quando il governo si deciderà ad adottare una vera ed efficiente politica anti-evasione che permetta di ridurre i circa 110 miliardi di euro annui di tasse dovute e non pagate dagli italiani? “Nel 2017 la quota di PIL derivante dal sommerso era dell’11,1% che sommata a quella derivante da attività illegali (1,1%) porta ad un totale del 12,2%”.

In un periodo di crisi e di recessione, come quello che stiamo per affrontare, questa quota tende ad aumentare.

Non ci sono più alibi: la tecnologia e l’informatica offrono allo Stato strumenti adeguati per incrociare le varie banche dati e scoprire chi si permette dei livelli di vita non coerenti con le sue dichiarazioni dei redditi.  Ciò va fatto anche per tutelare la maggioranza delle imprese che competono lealmente e che si trovano dei concorrenti sleali.

Mi permetto di aggiungere un titolo alle priorità sopra individuate: una nuova politica sui/dei Beni Comuni.
Seguendo il percorso già tracciato dal Comitato Stefano Rodotà, sono in corso dei lavori in tutto il paese per puntare ad una nuova qualificazione giuridica dei Beni Comuni (una nuova categoria che si situa tra i beni pubblici e i beni privati, in senso stretto) e che dovrebbe dar vita ad una nuova e innovativa collaborazione tra il settore pubblico e il settore privato nella gestione e valorizzazione sostenibile di tutta una serie di beni come l’acqua, l’aria, il patrimonio artistico e culturale, il welfare, ecc.
Insomma un altro “cambio di paradigma”, anche culturale nella gestione di Beni che abbiamo sempre considerato “di altri”, “dello Stato” e non nostri, diventando complici della loro devastazione.
Una riflessione personale in chiusura.
Proprio in questi giorni torna in edicola una testata storica del giornalismo italiano: l’Avanti, il quotidiano del Partito Socialista Italiano. Lo rilancia un gruppo di appassionati delle politica con una visione socialista e liberale della società, un gruppo che si richiama, affermando di non voler fare del reducismo, in qualche modo ai principi e ai valori di Giustizia e Libertà. Un pantheon che ha visto come protagonisti e fondatori i fratelli Rosselli e poi il Partito d’Azione.
A questo movimento di pensiero si è sempre richiamato anche il fondatore di questa rivista, l’avv. Bruno Segre che continua ogni settimana a fornirci il suo contributo giornalistico.
Nel fare quindi gli auguri al nuovo direttore dell’Avanti, Claudio Martelli, per questa intrapresa, molto peculiare in un momento difficilissimo per il mondo dell’editoria travolto dalla rivoluzione digitale, consentitemi un secondo di presunzione e partecipazione.
In quella voglia di nuovo, di un “cambio di paradigma” nelle politiche del nostro paese e non solo, si ritrovano anche e proprio questi progetti editoriali che mantengono in vita, soprattutto pensando alle nuove generazioni, testate giornalistiche protagoniste di quel ‘900 che i nostri figli e nipoti non solo non hanno vissuto, ma non conoscono.
Degli esempi e delle icone di autonomia e indipendenza giornalistica in un periodo di rischio delle nostre democrazie.
Abbiamo deciso di prendere in consegna il testimone de L’Incontro proprio per portare avanti battaglie fondate su quei valori di Giustizia e di Libertà che mi sembra di cogliere sia nel programma di Enrico Giovannini sia nel contenuto di questo pezzo.

Comments (1)
  1. Giorgio (reply)

    28 Aprile 2020 at 17:44

    Caro Riccardo,
    Sono pessimista e non sono d’accordo sulle tesi da te riportate.
    Partiamo dalla prima :
    1.         La lotta alle diseguaglianze: un nuovo welfare… Questa crisi colpirà sicuramente e maggiormente i più deboli e il governo dovrebbe orientare maggiori risorse a loro favore. Il sistema italiano di welfare – sostiene Giovannini – “è stato disegnato nei decenni per gestire crisi classiche del capitalismo, violente, ma brevi (si pensi alla cassa integrazione)”. Dopo la crisi di 10 anni fa, si cambiò approccio e nacquero nuovi strumenti come il reddito di cittadinanza. Oggi c’è la consapevolezza che quegli strumenti non sono più idonei a tutelare crisi sistemiche come quella attuale in quanto non riescono a proteggere adeguatamente milioni di lavoratori, sia regolari che irregolari. Per l’ASVIS, di cui, come detto Giovannini è il Portavoce nazionale, bisogna immaginare un nuovo strumento, il Reddito di Emergenza che potrebbe proteggere i “dimenticati” da questa crisi sistemica.
    Credo che questo sia esattamente l’approccio che non si dovrà avere, in altre parole dare una mano di bianco ai vecchi sistemi. Il Reddito di Cittadinanza o di Emergenza dovrebbero essere delle eccezioni da applicare a quei soggetti che non possono veramente rientrare nel mondo del lavoro e non applicati con sistematicità facendo concorrenza sleale al mondo del lavoro reale. Così come lo è l’apparato statale, grasso, costoso, inefficiente ma produttore di voti e di preferenze. La burocrazia, ad esempio, è ampiamente il soggetto economico più costoso e più inefficiente del nostro tessuto produttivo. Vorrei anche includere che il ritorno alla statalizzazione di alcune aziende private, notoriamente antieconomiche ma di forte impatto nazionalistico, risulta essere un altro modo, inefficiente, per mantenere o addirittura incrementare i posti di lavoro inutili.
    Fatta questa indispensabile premessa diventa necessario analizzare le opportunità che questo dramma medico-sociale ci presenta. Certamente le due proposte, Green Policy e Rivoluzione digitale, possono essere due buone opportunità sempre che non vengano utilizzate in ambito assistenziale anzichè produttivo. La nostra malattia, oramai da molti decenni, è l’assistenzialismo provocato da una vocazione elettorale e sindacale più rivolta al consenso che non al bene dello Stato. La guerra all’industria manifatturiera non ha avuto tregua basando le premesse sulla falsa immagine che gli industriali basino le proprie politiche aziendali solo sullo sfruttamento della mano d’opera. Immagine falsa solo in parte perchè, effettivamente, a volte si riscontrano queste deformazioni soprattutto in alcuni casi di aziende quotate che devono ripagare i propri investitori con sempre maggiori utili distribuiti, costi quel che costi in termini umani. Ma la stragrande maggioranza degli industriali medi o piccoli sanno perfettamente che il loro maggiore patrimonio sono proprio le maestranze, lavoratrici e affezionate all’azienda. Sono queste le aziende che creano ricchezza non solo in termini monetari ma, soprattutto, in termini sociali.

    Ritengo invece il punto successivo, la lotta all’evasione e al sommerso, puramente didattico. Ritengo che vi siano settori economici che non potrebbero sopravvivere se non facessero leva su una parte di evasione. Vi sono studi antichi e recenti che provano che la pressione fiscale su alcune categorie è ingiustificata e soprattutto insostenibile. Una delle soluzioni che potrebbero essere tentate proprio ora che il problema congiunturale è globale, potrebbe essere l’adozione di una fiscalità per lo meno europea che scoraggi l’emigrazione di società in paradisi fiscali legali. Sembra che siano proprio quei paesi europei più ricercati dalla finanza ad avere rimostranze sulle garanzie generalizzate di un eventuale debito europeo. Credo che questo debba essere uno dei primi punti da mettere in agenda nelle prossime riunioni del parlamento europeo.  A questo si lega anche il problema del sommerso e del lavoro nero. A volte non è possibile farne a meno, anche se si ha la volontà di mettere in regola un lavoratore, la burocrazia e i costi scoraggiano qualunque impeto di legalità. Peraltro la lotta all’evasione è condotta, a volte, in maniera superficiale e accanita e i risultati, il più delle volte, si perdono nei tempi e a favore della società inquisita (che però, pur vincitrice, ne esce distrutta).
    Io aggiungerei ancora un altro punto pregno di inefficienza e di costi nascosti incalcolabili. Sto parlando della giustizia civile che offre ogni giorno spunti di sbigottimento in ogni campo, dall’economia al sociale al matrimoniale e relativi a sentenze, durata dei processi o inutilità degli stessi processi.

    Dicevo che sono pessimista anzi, molto pessimista perchè non vedo oggi nè in Italia nè in Europa nessuna volontà di perseguire un bene comune ma solo la ricerca di soddisfare le lobby che ancora oggi comandano. Non è solo la salvaguardia del proprio orticello ma ben più importanti lobby che osserviamo operare senza capire quali sono i reali obbiettivi. Sto parlando della politica, in primis, che lavora per mantenere se stessa e poi tutte le altre che ho indicato prima.

    Ti abbraccio
    G

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