Mi ha colpito e sorpreso il cambio di marcia.
L’assunzione di una consapevolezza e di una responsabilità nuove e diverse: da statista visionaria.
Non soltanto più un programma da politico che cura, attraverso continue mediazioni e rinvii, il proprio orticello, gli interessi della propria Nazione, il suo futuro di leader del suo partito.
Qualcosa di diverso e di più alto.
L’intervista rilasciata da Angela Merkel ad alcune testate europee tra cui La Stampa, il 27 giugno, alla vigilia cioè dell’inizio del semestre di presidenza dell’Unione Europea, ha rappresentato uno scarto rispetto alla sua precedente carriera, iniziata, a livello di leadership 14 anni fa, nel 2006, un anno prima del suo esordio in Europa.
Il primo semestre di presidenza del mio cancellierato è stato nel 2007. In Francia e nei Paesi Bassi era stato respinto il Trattato sulla costituzione europea e ci eravamo prefissi di realizzare un nuovo Trattato. E ci siamo riusciti. Poi sono arrivate la crisi finanziaria internazionale, le turbolenze dell’Euro e la questione dei rifugiati, quindi i momenti di tensione ci sono sempre stati. Ora la pandemia ci pone di fronte ad una sfida di portata senza precedenti. Ha investito noi tutti senza che ne avessimo colpa. Da un lato interrompe un andamento economico favorevole in tutta Europa, dall’altro va di pari passo con i due altri grandi fenomeni dirompenti della nostra epoca: il cambiamento climatico e la digitalizzazione. A tutto questo lavorerò con grande concentrazione”.
La Cancelliera tedesca ha lasciato intendere, senza mezze parole, che la Germania deve essere consapevole del suo ruolo fondamentale in questa fase storica di post-Covid 19 per rilanciare concretamente l’Europa e il sogno di Ventotene, di una grande Nazione, magari federata, coesa sui valori culturali e storici, in grado di competere con gli altri grandi Paesi del Villaggio Globale.
E’ necessario che la Germania non pensi solo a sé stessa, ma che sia pronta a compiere un atto di solidarietà straordinario. L’Unione Europea ha bisogno di noi tedeschi ma noi abbiamo bisogno dell’Unione Europea. La Germania aveva un tasso di indebitamento basso e pertanto poteva permettersi di indebitarsi maggiormente in questa situazione eccezionale. Per noi è anche molto importante che il programma straordinario di intervento nei paesi più toccati dalla pandemia resti però nel quadro dei Trattati europei. Abbiamo trovato una via per farlo. E ovviamente agiamo anche nel nostro interesse. E’ nell’interesse della Germania che il mercato unico sia forte e che l’Unione Europea cresca insieme anziché disgregarsi. Ciò che fa bene all’Europa faceva e fa bene anche a noi”.
Chi si aspettava un commiato sobrio e dai toni istituzionali ha dovuto ricredersi: “Siamo di fronte ad una sfida cruciale, la più difficile da quando è nata l’Europa”.
Per vincerla Angela Merkel sta meditando di riconfigurare il ruolo della Germania in Europa, un ruolo che deve essere più attento ed elastico con riguardo soprattutto alle necessità dei partner più deboli.
Un tasso di disoccupazione molto elevato in un paese dell’Unione può diventare dinamite politica. Aumenterebbero così i rischi per la democrazia. Perché l’Europa sopravviva, deve sopravvivere anche la sua economia”.
Mi ha colpito, dicevo, il cambio di passo di un politico che ha fatto della mediazione, del rinvio, del tracheggiamento le cifre della sua lunghissima carriera di leader tedesco ed europeo.
Salvo lo scatto di orgoglio, nel 2015, quando richiamò tutti gli europei ad avere una visione solidale e virtuosa nei confronti del fenomeno della migrazione, la Cancelliera tedesca si è tirata addosso spesso la maggior parte delle critiche, da destra e da sinistra, proprio per aver cercato sempre un basso profilo, una gestione apparentemente di ordinaria amministrazione con lo scopo di portar avanti attraverso continue mediazioni, la coesione tra i “difficili condomini” europei.
Adesso, dai contenuti dei suoi discorsi tenuti in coincidenza con l’inizio del semestre tedesco alla guida dell’Europa, sembra di trovarsi di fronte ad un leader diverso che non si limita più ad una egemonia sostanziale, silenziosa e quasi riluttante, come ha scritto qualche commentatore politico.
La Merkel vuole lanciare, con forza e visione solidale, una sfida eccitante per i suoi connazionali e per tutti i cittadini europei che ci tengono a realizzare davvero il sogno di una Europa unita.
La tragedia della pandemia (tra l’altro, tutt’altro che risolta!) deve rappresentare un’opportunità drammatica ma decisiva per completare il progetto dei padri fondatori dell’Europa.
Andare al di là di un’unione soltanto economica per costruire finalmente un’unione anche politica.
Anche a costo di doversi contare e ritrovarsi, alla fine, meno numerosi.
Mi è parso di leggere tra le righe delle dichiarazioni della Cancelliera tedesca, il desiderio di passare alla storia, di essere ricordata per sempre in futuro come uno degli statisti (mi preme ricordare, ancora una volta, che gli statisti sono coloro che governano con una visione lunga non con la priorità del facile consenso a breve: coloro che, a costo di perdere le elezioni, non si fanno affascinare dalle sirene delle propaganda a breve ma si assumono la responsabilità di scelte coraggiose anche contro il consenso facile delle promesse velleitarie) che hanno permesso di coronare il sogno del manifesto di Ventotene e dei padri fondatori del Trattato di Roma.
A darle una mano, anche, a mio avviso per ragioni di “bottega”, è stato Emmanuel Macron che l’ha appoggiata per accelerare l’approvazione del progetto ora denominato Next Generation UE da 750 miliardi di euro ora in dirittura finale, speriamo, per il suo definitivo lancio.
Il semestre a presidenza tedesca sarà seguito dal semestre a presidenza francese. Forse il destino, tifoso evidentemente di una Europa unita, ci ha messo lo zampino!
E’ ragionevole pensare quindi che in quest’anno (dal 1 luglio 2020 al 30 giugno 2021) assisteremo, con ogni probabilità, ad una riforma dei Trattati attraverso una rivisitazione che tocchi tutti quei titoli che oggi rappresentano “i tappi” all’implementazione del progetto europeo.
Magari, come detto, con, alla fine del processo, un minor numero di partner.
Mi riferisco alle seguenti, cruciali, tematiche:

1.  Abolizione del sistema basato sull’unanimità del consenso dei partecipanti al tavolo europeo. Uno schema inadeguato e inefficiente per una Nazione che ha bisogno di assumere decisioni, anche strategiche, in forza di maggioranze, anche qualificate, che le permettano di competere in modo adeguato con gli altri grandi del mondo, spesso in possesso di catene di comando meno democratiche e per questo molto più efficaci.

2.  Reale armonizzazione fiscale che impedisca il perpetrarsi di posizioni di privilegio per alcuni dei membri a danno degli altri.

3.  Una difesa comune che vada oltre la Nato e che, basandosi sugli stessi valori ed obiettivi di pace, difenda i sistemi democratici, anche con la forza delle armi.

4.  Una, conseguente, riscrittura del riparto dei poteri della governance dell’Unione Europea con un nuovo bilanciamento, più moderno ed efficiente tra Parlamento Europeo, Consiglio d’Europa e Commissione Europea.

5.  La “messa a terra” del Green Deal che sia finalmente un segnale ai popoli dell’Europa di un’attenzione nuova ai temi dell’ambiente e di una valorizzazione, anche occupazionale, che tale programma potrebbe dare al sistema economico di tutti i cittadini europei.

6.  Una nuova politica, che passa anche attraverso una specifica normativa, sul web: una straordinaria opportunità che non deve però essere subita ma gestita, soprattutto nei confronti delle multinazionali americane che non possono pensare di violare le leggi sulla privacy, pagare pochissime imposte, essere, insomma, al di sopra della legge dei comuni mortali.

Angela Merkel ha citato infine altri tre delicati e fondamentali dossier da sbrogliare: (i) la Brexit (qualcuno, a causa della pandemia, si è scordato che il tema è ancora aperto e che bisogna cercare di evitare assolutamente il “No Deal” che comporterebbe ripercussioni importanti sull’export dei paesi europei); (ii) la Cina con la quale, nonostante tutto, bisogna cercare di dialogare (“La Cina – ha detto la Merkel – è diventata una grande potenza economica. Proprio il suo esempio dimostra che uno stato non democratico può avere successo economico e ciò mette a dura prova le nostre democrazie liberali. Dovremmo sviluppare una politica che rifletta i nostri interessi e valori, poiché il rispetto dei diritti umani, lo stato di diritto e le nostre inquietudini sul futuro di Hong Kong sono temi che s’infrappongono fra la Cina e noi. Non parlarsi non sarebbe di certo una buona idea”); (iii) la Russia di Putin (“Dobbiamo riconoscere – ha detto sempre la Cancelliera tedesca – che le campagne di disinformazione e i mezzi della cosiddetta zona ibrida sono parte dell’arsenale e dello schema nazione russo. D’altro canto, ci sono buoni motivi per continuare ad avviare un dialogo costruttivo con la Russia. In Siria o in Libia, nei Paesi che sono i vicini diretti dell’Europa, l’influenza strategica della Russia è forte. Per questo continuo ad adoperarmi per una cooperazione”).
Nella testa di Angela Merkel si senta la voglia, l’ambizione, la speranza di diventare la leader donna che ha evitato il rischio del tragico fallimento del sogno europeo.
E’ il suo ultimo treno: in Germania stanno nascendo nuovi e più giovani candidati leader. Ad esempio l’autorevole ministro delle finanze socialdemocratico Olaf Scholz; il ministro della salute John Spahn, che ha gestito l’emergenza sanitaria. Markus Soder, il leader della CSU dotato di forti ambizioni e di un certo carisma.
Tutti si preparano alla successione della Cancelliera.
Insomma, la Merkel vuole sfruttare con un colpo di coda “nel finale” questa ultima chance, questa grande opportunità di entrare nei libri di storia come il suo maestro Helmut Kohl.

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