Ritorniamo sul tema “soccorso in mare”, trattato recentemente in questo blog, in quanto è stata notificata al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell’Interno pro-tempore Matteo Salvini per le condotte messe in atto nell’agosto scorso in merito al sequestro della nave della Guardia Costiera dalla Marina Italiana Ubaldo Diciotti (16-25 agosto).

Pickett ha cercato, nell’ultimo contributo, di mettere in fila i vari precetti normativi che esistono per giustificare la chiusura dei porti di fronte alla richiesta di attracco di navi che abbiano soccorso dei naufraghi.

Oggi cerchiamo di fornirvi ulteriori spunti affinché vi facciate una vostra opinione in merito a cosa stia accadendo in queste ore nei palazzi della nostra Repubblica, a proposito della concessione o meno dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini da parte del Senato.

I temi sono connessi in quanto secondo i magistrati di Catania il nostro Ministro dell’Interno ha violato, con le sue decisioni, la normativa penale e merita di essere giudicato da un tribunale dello Stato.

Ai senatori, nelle prossime ore, il compito di valutare se tale richiesta sia legittima o meno: da accogliere o da respingere.

Eccovi, dunque, alcuni dettagli formali che dovrebbero permettere una maggior comprensione dell’evento, al “netto” delle contaminazioni politiche che sicuramente giocheranno un ruolo decisivo nella deliberazione finale dei nostri senatori.

Sequestro di persona, aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale, dall’abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché per aver commesso il fatto anche in danno di soggetti minori di età”. Questa è l’imputazione dei tre magistrati del Tribunale dei Ministri di Catania formulata nei confronti di Salvini con un richiamo specifico all’art. 605 del Codice Penale, comma I, II e III.

Nella motivazione a tale richiesta si legge il ritratto di un politico che ricorre ad una “prolungata costrizione fisica di carattere illegittimo di 190 migranti a bordo della nave della Guardia Costiera della Marina Italiana Diciotti tra il 16 e il 25 agosto 2018”.

In particolare il ritratto di un politico che fa prevalere gli interessi non della nazione ma di una parte politica, su norme di diritto che “attengono al diritto alla vita, alla libertà e al rispetto della dignità umana” perché “l’obbligo di salvare la vita in mare prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”.

L’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro degli Interni potrebbe essere negata in quanto lo stesso avrebbe agito “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante oppure per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”.

Il tema dunque sul quale dovranno pronunciarsi i senatori della Repubblica riguarda proprio la valutazione se nel caso della nave Diciotti esistesse o meno questo interesse dello Stato. In altre parole se il sequestro della nave e le decisioni del Ministro dell’Interno siano un caso in cui la ragione di stato abbia ceduto il posto, in modo esplicito e dichiarato, alla ragione di un partito politico: “La decisione del Ministro – hanno scritto i magistrati di Catania nella loro relazione – non è stata adottata per problemi di ordine pubblico in senso stretto (nessuno dei testimoni ascoltati da questo tribunale ha riferito di informazioni sulla possibile presenza tra i soggetti soccorsi di persone pericolose per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale) ma per una volontà meramente politica … il Ministro ha agito al di fuori delle finalità proprie dell’esercizio conferitogli dalla legge, in quanto le scelte politiche non possono ridurre la portata degli obblighi degli stati di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco dei migranti in un luogo sicuro”.

Nella sua difesa, mirata a richiedere alla giunta per le immunità del Senato di respingere l’autorizzazione a procedere, è stato lo stesso Salvini a identificare la ragione di stato con la ragione di parte, la sua: “La valutazione del Senato – si legge nella memoria redatta dai difensori del Ministro degli Interni – è vincolata all’accertamento di due requisiti (ciascuno dei quali di per sé sufficiente a negare l’autorizzazione): la tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante o il perseguimento di un preminente interesse pubblico”.

Questo è il quadro di riferimento normativo e delle due posizioni contrapposte, in campo: quella dei magistrati siciliani e quella del Ministro degli Interni.

Pickett è ragionevolmente certo che alla fine prevarrà una logica politica e non giuridica: però è interessante sottolineare come la fattispecie in esame metta in evidenza il concreto rischio che certe scelte del nostro Ministro degli Interni, scelte di natura squisitamente politica, abbiano violato le norme penali in materia.

Una “bella” questione dunque, molto delicata e spinosa dal punto di vista politico, ma fondamentale per ribadire o meno il principio della separazione dei poteri in uno stato democratico moderno e l’eventuale responsabilità di un uomo di governo che abbia assunto decisioni al di fuori del suo potere e in contrasto con il quadro giuridico di riferimento. Abbia, in altre parole, assunto decisioni per motivi partitici, non “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o comunque per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”.

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