Mancano le risorse. I conti non tornano. L’Unione Europea ci minaccia. Il Governo del Cambiamento insiste su un progetto di Legge di Stabilità che, comunque, perde i pezzi giorno dopo giorno. Contestazione dopo contestazione.

Ci siamo ridotti a sembrare il criceto che gira sulla ruota!

Eppure… eppure ci sarebbero 3-azioni-3 da attivare subito, a costo zero, per recuperare risorse vere, utili ad impostare un programma di riforme reale e compatibile con i vincoli europei che, non dimentichiamolo mai, abbiamo accettato di rispettare ma che, oggi, contestiamo e vorremmo cancellare.

Pickett ne ha già affrontata una di queste 3 possibili azioni: la lotta all’evasione. Ma non da titolo per i giornali, ma da affrontare sul serio, valorizzando tecnologia digitale, banche dati, le nostre dichiarazioni dei redditi. Ci sono in ballo 130 miliardi di euro l’anno: perché (consentiteci la domanda retorica) nessuno, ma soprattutto il Governo del Cambiamento, non si mette subito alla caccia di questo tesoretto?

Lo ripetiamo, basterebbe utilizzare meglio le informazioni che sono già in possesso dell’Agenzia delle Entrate. Incrociarle con le banche dati esistenti sulle nostre proprietà immobiliari e mobiliari e…voilà…confrontarle con le dichiarazioni dei redditi di ciascuno di noi. Un 50% dell’evasione attuale potrebbe “magicamente” tornare “al sole” immediatamente alla prima contestazione di incongruità.

Una riduzione poi del numero dei tributi esistenti aiuterebbe il lavoro dei contribuenti, favorendo così un altro recupero dell’evasione passando semplicemente attraverso un processo di semplificazione delle nostre attività burocratiche. A questo proposito Pickett vi richiama ad un precedente contributo sugli esiti di uno studio della CGA di Mestre, che abbiamo pubblicato di recente.

Oggi però ci occupiamo delle altre 2 azioni impostabili immediatamente: (i) una nuova tassa sulle transazioni riguardanti i nostri dati personali che circolano sul web; (ii) una vera … e non solo annunciata semplificazione burocratico-amministrativa delle nostre procedure.

Andiamo con ordine.

Una nuova tassa sul web.

L’amico Pietro Paganini ci aiuta a ragionare sulla nuova possibile imposta sul mondo della Rete. Una norma mirata alla cosiddetta equità digitale. Ascoltate con attenzione.

L’Italia non ha ancora introdotto un regime fiscale che regolamenti l’acquisizione e l’utilizzo dei dati personali da parte di operatori stranieri del web. Perché non introdurre una nuova web-tax invece di colpire i consumatori con tasse di scopo?

Serve, secondo Paganini, una svolta coraggiosa.

Le big four o GAFA – Google, Apple, Facebook e Amazon – minacciano la fuga dall’Italia nel caso venga introdotta una web-tax. Il valore di appena due di queste quattro aziende supera il trilione di dollari. Eppure il trattamento fiscale di cui godono queste multinazionali è ampiamente agevolato rispetto alle altre imprese operanti sul territorio italiano.

Seguendo l’esempio dell’Estonia, la modifica di questa fiscalità sarebbe un gesto di riequilibrio nei confronti delle imprese e dei cittadini italiani. I governi infatti, alla disperata ricerca di risorse, stanno utilizzando lo strumento delle tasse di scopo che colpiscono solamente i consumatori e gravano anche sui costi burocratici e sugli investimenti produttivi. Le varie accise, inoltre, stanno portando, proporzionalmente, sempre meno gettito per le casse dello stato. Un prelievo sulle GAFA potrebbe contribuire, secondo alcune stime, per almeno 3.5 miliardi alla fiscalità pubblica.

Per fare ciò serve però una svolta coraggiosa. Un nuovo regime impositivo che vada a regolamentare le operazioni delle multinazionali del web, a partire proprio dai volumi di dati personali collezionati e utilizzati fino ad oggi.

Urge partire da una revisione del concetto di “stabile organizzazione” per rimanere al passo con le nuove forme di economia digitale. Come ha suggerito il governo estone, i colossi del web che generano profitti attraverso l’uso dei dati personali, devono essere considerati come una presenza fisica sostanziale nel paese specifico dove ha avuto luogo l’acquisizione dei medesimi. Un concetto che sarebbe compatibile con le esigenze di regolamentazione poste dalla crescente digitalizzazione dell’economia e dalla necessità di riequilibrare il regime fiscale.

In Italia, le GAFA impegnano circa 7 mila persone ossia lo 0,0003% dei posti di lavoro nel nostro territorio. E’ impossibile conoscere i dati esattamente, ma varie stime rivelano che le imposte pagate da tutte e quattro le società non superano i 20 milioni di euro l’anno!

Resta quindi poco comprensibile quale sia il razionale alla base dell’attuale regime per cui una società che crea scarsa occupazione a fronte di una mole infinita di dati collezionati direttamente dai cittadini e di un volume d’affari elevato in un determinato paese, paghi molte meno tasse rispetto agli altri operatori.

Questo rende il mercato non concorrenziale, provocando storture e iniquità.

Un riequilibrio del mercato e l’introduzione di una valorizzazione dei big data – che avvenga nei singoli stati o a livello europeo, potrebbe essere la stessa cosa – potrebbero essere i primi step per poter costruire un’arena concorrenziale e tutelare in primo luogo il consumatore.

Da un punto di vista fiscale, non è più possibile ricorrere alle entrate (in calo) provenienti dalle accise e dalle tasse di scopo. Senza prima creare delle basi credibili per la libera concorrenza e per la competitività, è inutile parlare – secondo Paganini – di crescita e investimenti. Tanto meno chiedere ai soliti “noti” di pagare al posto degli altri.

La domanda quindi è la seguente: perché il Governo del Cambiamento non propone una norma di questo tipo?

Forse la competenza per scriverla costituisce una barriera invalicabile per chi sta rivalutando “l’incompetenza”?

Sempre peggio il “doing business” in Italia

L’annuale classifica redatta dalla Banca Mondiale sulle economie del mondo dove sia più facile fare business, ci retrocede al 51 esimo posto! Abbiamo perso altre 5 posizioni. Per il terzo anno consecutivo Nuova Zelanda, Singapore e Danimarca conquistano il podio delle medaglie. Al quarto e quinto posto figurano Hong Kong e Corea del Sud. Gli Stati Uniti di Trump sono scesi dal sesto all’ottavo posto, sorpassati da Norvegia e Georgia.

Noi siamo scesi oltre il 50 esimo posto!

Abbiamo un bisogno pazzesco di attirare investitori esteri che decidano di piazzare i loro soldi nel nostro paese e invece di facilitare le loro scelte, nel “doing business” ogni anno perdiamo colpi.

Incertezza del diritto e tempi biblici della giustizia civile e penale sono in testa alla lista nera dei disvalori italiani.

Ma poi possiamo trovare altre “chicche”: (i) il costo del lavoro non competitivo; (ii) una tassazione troppo alta; (iii) i tempi della burocrazia troppo lunghi; (iv) una corruzione sempre più dilagante; (v) un sistema relazionale che nel mondo del business prevale su quello meritocratico; (vi) una mancanza di risorse specializzate in certi settori innovativi; (vii) il rischio concreto di retroattività con abrogazione di leggi che avevano previsto degli incentivi in certi settori industriali (energia), ecc., ecc., ecc.

L’elenco purtroppo sarebbe ancora più lungo e tale da farci arrossire in questo contesto desolante e in picchiata verticale.

Ne parliamo da anni di come invertire il trend, ma ogni rapporto annuale della World Bank ci fa retrocedere in classifica …

Pickett si permette due piccole, modeste e forse banali considerazioni mirate, almeno, a cercare di invertire questo drammatico trend negativo.

Innanzitutto organizziamo un viaggio nelle non lontane Norvegia e Danimarca per capire le ragioni del loro successo. Magari imitandone il modello. A volte uscire dal proprio borgo provinciale ed aprire la mente, curiosando nel mondo, può servire. Anche a copiare, senza vergogna, chi ha modelli più virtuosi che gli investitori stranieri preferiscono perché danno fiducia e sicurezza, oltre alle agevolazioni. Due parole chiave, risolutive per chi decide dove mettere i propri soldi per fare business.

Obbligare le regioni italiane ad organizzare sportelli unici riservati agli imprenditori stranieri per fornire loro informazioni, assistenza e consulenza per chi si candida ad effettuare investimenti nel nostro paese.

Esistono già? Sulla carta sì.

Nella realtà manca, ad avviso di Pickett, un pezzo fondamentale per l’efficienza degli sportelli unici esistenti (dove esistono): lo straniero ha bisogno non solo d’informazioni ma anche di essere accompagnato “per mano” nella giungla burocratica del nostro sistema, delle nostre leggi, leggine, vincoli, tributi, orpelli.

Ha bisogno, in altre parole, di un tutor, di un “mediatore culturale” che lo affianchi per aiutarlo a risolvere i problemi quotidiani dei rapporti con la nostra pubblica amministrazione: dagli Enti Pubblici territoriali alla Questura, dalla Prefettura alle ASL, dai Vigili del Fuoco ai Nas, dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali ad altre mille sigle della nostra elefantiaca burocrazia.

Qui sta il nocciolo del problema. Bisognerebbe convincersene e poi attuare tutti i progetti mirati a far conoscere meglio i plus che accompagnano un eventuale investimento in Italia. Prima organizziamo dei team di tutor da destinare agli investitori, poi incominciamo a promozionare meglio i nostri plus come sistema paese.

Proprio di recente un importante imprenditore cinese nel settore delle telecomunicazioni ci confermava il suo amore per l’Italia e la sua voglia di investire nel nostro paese.

Non ci chiedeva particolari agevolazioni fiscali o finanziarie, ma pretendeva di avere una semplificazione dei rapporti con la pubblica amministrazione. “Dobbiamo decidere dove collocare il nostro quartier generale in Europa e siamo convinti che per storia, competenze e conoscenze l’Italia sia il sito ideale. Siamo a conoscenza dei vostri problemi in termini di risorse economiche e finanziarie e non pretendiamo particolari agevolazioni fiscali o finanziarie. Vi chiediamo soltanto di aiutarci a decifrare con efficienza ed efficacia il vostro sistema burocratico, semplificandoci la vita e aiutandoci anche a convincerci che abbiamo fatto bene a scegliere il vostro paese come sede del nostro business”.

Meditiamo gente, meditiamo.

Comments (2)
  1. Riccardo Tosi (reply)

    7 Novembre 2018 at 15:59

    Come dare torto all’articolista?! Avevo già espresso tempo fa alcune indicazioni che andavano in questa direzione, cioè quella del recupero di evasione da alcuni settori più facilmente controllabili (es.: stabilimenti balneari). Ma l’impressione è che siano solo i cittadini a meditare. O forse i nostri governanti meditano troppo e….fanno pochi fatti?!

  2. Elena lamberti (reply)

    30 Novembre 2018 at 14:29

    L’ articolo offre sicuramente importanti elementi di riflessione. La riflessione, però, non basta; ci vuole coraggio.
    Soltanto il coraggio di mettersi in gioco, di fare, di agire, di non rimanere inerti e fermi davanti al monitor della vita consentirà di affrancarci rispetto ad un passato menefreghista, approfittatore, egoista.
    Questo non tanto per noi, quando per le nuove generazioni avendo queste tutto il diritto di potesi riprendere il Paese, guardando a quanto di meraviglioso e positivo questo sa ancora dare.

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