E’ il tempo delle riflessioni.

In questi giorni dell’anno siamo portati tutti a scambiarci gli auguri, a fare dei proponimenti, a pensare all’anno che verrà.

Più o meno scaramanticamente, ciascuno di noi immagina, auspica, registra dei segnali che possano dare spunti al suo nuovo anno che sta per iniziare.

In questo perimetro di riflessioni, pensieri, preoccupazioni e, spesso, affanni, abbiamo riletto alcuni studi che trattano l’annoso tema definibile, in sintesi, come “Che cos’è la felicità? Che cosa ci rende davvero felici?”.

Ebbene, un recente aggiornamento di un vecchio studio svolto a livello scientifico in America, conferma delle conclusioni sulle quali ci eravamo già addentrati in passato proprio su questa testata.

Non sono tanto i soldi, il potere, le ambizioni personali che possono far salire o scendere il nostro tasso di felicità interno, quello vero: sono, invece, le buone relazioni instaurate soprattutto con le persone che stimiamo e a cui vogliamo bene.

Raggiunto un buon livello di comprensione, complicità, supporto, affetto, sinergia con gli esseri umani che riteniamo importanti per la nostra vita, ecco che magicamente tutto ci sembra diventare più semplice; più a portata di mano, più raggiungibile.

Diminuiscono le angosce, le preoccupazioni, le ansie per il futuro.

La vita ci sembra meno ostile, più alla nostra portata, quasi in discesa: una straordinaria opportunità da conoscere e visitare quotidianamente con entusiasmo, passione ed energia.

Se riusciamo ad instaurare prima e consolidare poi un buon livello qualitativo con i soggetti che ci interessano (si badi bene non in senso speculativo o opportunistico, ma puramente affettivo) allora denari, carriera, ambizioni saranno tutte componenti complementari della nostra esistenza.

Per carità, utili ed anche gradevoli, ma mai tali da sole a renderci felici.

Leggete le conclusioni di questa ultima puntata della lunga ricerca realizzata negli Stati Uniti e promossa dalla prestigiosa università di Harvard, a Boston, in Pennsylvania.

Lo studio iniziato nel 1938 ha preso in esame 724 allora ragazzini provenienti da zone disagiate di Boston.

Dagli anni ’40 il gruppo è stato  monitorato ogni 2 anni attraverso test scritti, colloqui frontali e analisi sulle condizioni psicofisiche.

Si è chiesto agli iniziali 724 volontari (via via integrati da nuovi soggetti, con le stesse caratteristiche sociali) quali fossero le proprie relazioni, i propri successi o insuccessi, famigliari e lavorativi e quali le loro condizioni di salute.

Nell’ultimo aggiornamento di questo studio che dura ormai da ottant’anni è emerso che non sono i beni materiali o la posizione sociale a determinare uno stato di serenità e, soprattutto, una vita migliore e più sana e longeva, ma le relazioni interpersonali di qualità.

Le persone maggiormente “connesse” sono più felici, vivono di più e meglio, mentre la loro mancanza peggiora lo stato generale di salute.

Sebbene l’80% delle persone intervistate in recenti indagini di mercato creda che il primo elemento per essere felici sia possedere denaro, e il 50% che la felicità derivi dalla fama e dal duro impegno nel lavoro, la ricerca americana ha dimostrato che ad essere più felici e più sani mentalmente e fisicamente sono coloro che negli anni sono riusciti a creare reti di rapporti interpersonali positivi, a prescindere dai soldi, dalla fama e dalla carriera.

Il segreto per vivere sane relazioni consiste nel dedicare loro del tempo, cercare nuove e stimolanti esperienze, come ad esempio chiamare un vecchio amico o un famigliare con cui si era litigato.

Bisogna dunque impiegare il tempo giusto nel coltivare la propria rete di relazioni, trovare lo spazio in una giornata, anche se caotica, per dare una parola di conforto,  partecipando ad una gioia e mettendo in secondo piano qualsiasi altro impegno.

Dallo studio emerge dunque una ricetta che argina e gestisce quel sentimento che invece anche l’ultima indagine del Censis evidenzia come dilagante tra gli italiani impauriti, confusi, preoccupati per il futuro: l’indifferenza verso il prossimo.

Le conclusioni dello studio dell’università di Harvard ci offrono una straordinaria opportunità di reagire allo sbando della disattenzione verso gli altri costruendo invece la nostra felicità proprio sull’attenzione alle relazioni con i terzi.

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